Il feeling tra Conte e Renzi non è mai nato. È stato messo in piedi un governo, certo, ma per necessità. Nelle ultime ore, come si sta raccontando, il già complicato rapporto tra i due è arrivato al capolinea. E spuntano gli sms e i confronti privati che ci sono stati. “Io certe dinamiche le capisco e le so valutare. Anche perché, se permetti, ho fatto il presidente del Consiglio per più di mille giorni. Ecco, il professore per me è un incapace. Sarà anche simpatico, una brava persona, tutto quello che volete. Ma è inadeguato al ruolo che ricopre. E per me deve andare a casa, lui e pure Casalino”. Questo ha detto Renzi ai suoi il giorno prima della Vigilia di Natale, quando non era chiaro a tutti il punto fino al quale voleva tirare la corda il leader di Italia Viva.
“Deve andarsene perché non è capace”, ribadiva già allora Renzi. A quel punto, stando a tutti i retroscena ricostruiti dal Corriere, Conte ha alzato il telefono e ha chiamato Renzi, dal cellulare privato, senza intermediazioni di segreterie o centralini perché – avrebbe poi spiegato il premier – “non volevo urtarlo o fare la parte del superiore”. Nessuna risposta. Poi però c’è stato uno scambio di messaggi, in cui Conte ha sempre chiamato Renzi “Matteo” e Renzi non ha mai nominato la parola “Giuseppe”. “Ti avevo chiamato per farti gli auguri, Matteo. Sia a te che alla tua famiglia. Buone festività” (Conte); “Un augurio anche a te e ai tuoi. A presto” (Renzi).
A Capodanno, stessa storia: “Matteo ti faccio gli auguri di buon anno anche in famiglia” (Conte); “Auguri a voi. Buon 2021” (Renzi). Poi all’Epifania: “Matteo ti chiamerà Gualtieri per aggiornarti sulla revisione del Recovery plan. Mi sembra che tenga conto di molti vostri suggerimenti” (Conte); “Aspettiamo voi allora. Buona Epifania a te” (Renzi). Conciliante il primo, gelido il secondo. In tutto questo tempo, dalla Vigilia di Natale a oggi, non c’è stato giorno in cui – a dispetto dei toni concilianti dei messaggi su WhatsApp – Conte non abbia definito in privato Renzi come “uno che pensa solamente agli affari suoi. Ma fuori da questo Parlamento è finito”.
Capendo che la pace non poteva sbocciare, il presidente del Consiglio fa un nuovo tentativo di avvicinare il senatore di Rignano. Lo convoca di nuovo, pochi giorni prima del voto negli Usa. Ma stavolta i due sono soli. “Parliamo di te. Che cosa vorresti fare, Matteo? Sul posto alla Nato, per esempio…”, accenna Conte. Ma Renzi non la prende bene: “Vedi, quel posto alla Nato non lo decidiamo né io né te, professore. Lo deciderà il prossimo presidente degli Stati Uniti”. Ora l’atto finale.
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