Riflessioni, pensieri sparsi, commenti e considerazioni sull’ammazzare ancora se fosse servito a non farlo sentire più non amato ed isolato. Quando si è in carcere soli e privati della propria libertà, di tempo per pensare ce né parecchio, ma non è detto che il colpevole riesca a capire fino in fondo gli errori commessi. Specialmente se sei un killer. “Una parte di me è felice di quelle 60 coltellate. Avrei continuato a uccidere se non mi avessero preso”. Sono le parole di Antonio De Marco, il 21enne autore del duplice omicidio avvenuto a Lecce lo scorso settembre, quando Daniele De Santis ed Eleonora Manta vennero brutalmente assassinati nel loro appartamento. Si tratta del contenuto di venticinque lettere scritte dall’ex studente in infermeria nel primo mese trascorso in isolamento nel carcere di Borgo di San Nicola a Lecce. Anche allora, rinchiuso in cella con il pesante stimma dell’omicida, De Marco non ha rinunciato a mettere nero su bianco le sue riflessioni, proprio come aveva fatto nei mesi che avevano preceduto l’omicidio. Mail, diari, romanzi: l’assassino dei fidanzati Eleonora e Daniele ha sempre scelto la parola scritta per esprimere i suoi intimi desideri e i suoi malesseri, spesso a proprio discapito. Sì, perché ciascuno di questi scritti è finito, insieme alle lettere, nelle oltre 1200 pagine del fascicolo del processo che prenderà via il 18 febbraio davanti alla Corte d’Assise.
A recuperare le lettere conservate e quelle cestinate sono stati gli agenti della polizia penitenziaria dopo avere scoperto il tentativo di fare arrivare una missiva a una delle due studentesse del corso di Scienze infermieristiche. “Questo omicidio poi è la cosa che più mi spezza: una parte di me prova dispiacere (ma solo quello), un’altra è contenta….sì! È felice di aver dato 60 coltellate, poi c’è un’altra parte che avrebbe voluto fare una strage, come se fosse stata una partita a G.T.A.… (il
videogioco Grand Theft Auto, nda)”, si legge negli appunti ritrovati in mille pezzi. “Certe volte sento di essere un vero e proprio mostro e la cosa peggiore è che sento che ad una parte di me piace questa idea…”, scrive ancora De Marco. De Marco torna anche sulle motivazioni del gesto del quale si è autoaccusato: “Io ho ucciso Daniele ed Eleonora perché volevo vendicarmi: perché la mia vita doveva essere così triste e quella degli altri così allegra?”.
Le sue riflessioni riguardano ancora cosa sarebbe accaduto se gli inquirenti non fosse risaliti a lui: “La cosa peggiore – si legge in un manoscritto dallo studente arrestato – è che sento che se fossi all’esterno il mio impulso di uccidere sarebbe ritornato, sarei scoppiato a piangere, mi sarei arrabbiato, avrei fantasticato su come uccidere qualcuno e poi sarei andato all’Eurospin a comprare patatine e schifezze varie. È facile, per me uccidere è facile. Magari non lo è stato dal punto di vista logistico, ma da un punto di vista emotivo è facile. Ma se uccidere non mi ha fatto ottenere nulla, allora probabilmente sentirei l’impulso di farlo ancora?”.
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