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Facebook copia una app italiana e perde Nearby

Il Tribunale di Milano condanna Facebook e lo fa con l’accusa di «concorrenza sleale» e «violazione dei diritti d’autore». Questa volta il colosso dei social finisce sotto i riflettori per motivi sicuramente discutibili e di cui non vantarsi troppo: l’aver plagiato una app sviluppata da una piccola software house milanese, la Business Competence S.r.l.
L’oggetto del contendere è la funzione Nearby, lanciata da Facebook nel 2012 sul mercato americano e approdata poi in Italia nel 2014, che sembra essersi dimostrata una copia perfetta dell’applicazione Faround, sviluppata dall’azienda italiana.
Nell’estate del 2012 i giovani fondatori della Business Competence propongono a Facebook la loro app Facearound, la cui funzionalità principale è la geolocalizzazione, grazie alla quale vengono individuati – anche in base ai gusti dell’utente – i luoghi di interesse preferiti suddivisi per categoria. Il colosso californiano, dopo aver richiesto di modificarne il nome in Faround, si riserva di esaminarla e di dare comunicazione degli esiti. Cosa che non avverrà mai. Anzi, poco più tardi Nearby vede la sua apparizione sul mercato.
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Le somiglianze con l’applicazione sviluppata dall’azienda milanese sono troppe e anche la tempistica per realizzare un software del genere è piuttosto stretta, tanto da far destare più di un sospetto: la proposta degli sviluppatori italiani, infatti, è di agosto e il lancio di Nearby del dicembre immediatamente successivo. Inoltre, come gli stessi giudici del Tribunale di Milano affermano nella sentenza, esisterebbero «univoci e concordanti indizi» sul plagio: Facebook possedeva il codice sorgente della app, per cui sarebbe stata oltremodo facilitata nello sviluppo di un’applicazione che possedesse caratteristiche simili, se non identiche.
La Business Competence, dunque, intenta causa e la vince. Perlomeno in primo grado. Facebook, infatti, ha impugnato la sentenza e il prossimo 4 aprile si aprirà la causa di secondo grado davanti alla Corte d’Appello civile. La causa nel merito tratterà il risarcimento del danno per la software house, a meno che non si arrivi a una transazione. 2Pur rispettandola, Facebook è in disaccordo con questa decisione – riferiscono i portavoce del social – le contestazioni erano prive di fondamento e abbiamo fatto appello. Crediamo che l’ordinanza sia sbagliata, nel frattempo ci atteniamo a quanto disposto dalle autorità giudiziarie”.
La Sezione specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Milano, infatti, ha prescritto l’immediata eliminazione dell’applicazione dalla piattaforma italiana, prevedendo – come si legge nella sentenza dell’agosto 2016 – una penale “di 5mila euro per ogni giorno di ulteriore utilizzo dell’applicazione suddetta”.
A dare ulteriore risalto all’avvenimento è stata la decisione dei giudici di disporre la pubblicazione della sentenza stessa sul “Sole 24 Ore” e sul “Corriere della Sera” e, per almeno 15 giorni, sulla home page della versione italiana del sito di Facebook.
Il gigante californiano ha presentato istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza impugnata, che è stata tuttavia rifiutata dalla Corte d’Appello, la quale, con provvedimento dello scorso dicembre 2016, ha rinviato il tutto al secondo grado.

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