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Settori produttivi, ecco il rapporto Istat sulla competitività

È uscita a inizio marzo la quinta edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, che fornisce un quadro informativo dettagliato e tempestivo sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano.
Il rapporto valorizza le numerose informazioni statistiche sui settori economici; per ciascun settore viene infatti offerta una base dati di oltre 70 indicatori. È consultabile e scaricabile dal sito dell’Istat on forma e-book e con contenuti aggiuntivi.

Settori produttivi in recupero, ma a due velocità

Le tendenze macroeconomiche recenti segnalano da un lato un chiaro recupero di competitività del nostro sistema produttivo, dall’altro un ritmo di crescita ancora modesto, soprattutto nei confronti delle principali economie europee.
Secondo l’Istat “la ripresa ciclica dell’economia italiana è accompagnata da un aumento dell’export e da un rafforzamento della quota di esportazioni di beni su quelle mondiali”. Nella nuova fase di ripresa, però, “cambia il contributo della domanda estera netta al Pil, che diviene negativo a causa di un aumento di volumi importati superiore all’incremento di quelli esportati”.
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Per quanto riguarda il piano settoriale, “un’indagine qualitativa sulle valutazioni delle imprese di manifattura e servizi mette in luce che i segnali di ripresa sono diffusi nel sistema produttivo, in termini di tenuta o aumento del fatturato, capacità produttiva, capitale umano qualificato, possibilità di reagire a eventuali aumenti di domanda”. Tuttavia, aggiungono gli analisti, “l’Indicatore sintetico di competitività settoriale (ISCo) conferma, nonostante la ripresa, la divergenza nella performance dei singoli comparti manifatturieri: in una graduatoria di competitività, i settori che occupavano le prime posizioni nel 2011 sono quelli più competitivi anche nel 2014 e gli stessi che hanno registrato i migliori progressi anche nel 2015-2016″.
In sostanza, si legge nel rapporto Istat sulla competitività, “a livello microeconomico emerge che la selezione provocata dalla lunga fase recessiva – in quattro anni il sistema ha perso oltre 194mila imprese e quasi 800mila addetti – ha avuto conseguenze dirette sulla solidità e la performance del tessuto produttivo italiano”.
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In un contesto, come quello italiano, “nel quale il valore aggiunto complessivo delle società di capitali è realizzato in larga misura da imprese “fragili” (redditizie ma con problemi di solidità e/o liquidità), è notevolmente cresciuta la fascia di imprese “in salute”, raggiungendo nel 2014 livelli superiori a quelli del 2007”. Inoltre, “durante l’ultima recessione la produttività totale dei fattori è aumentata nell’industria (con una divaricazione tra i settori) e diminuita nei servizi (con una convergenza intersettoriale)”.

Il ruolo dell’internazionalizzazione sulla competitività

Infine, la selezione ha operato anche sulle imprese internazionalizzate: “Durante la recessione, solo chi esportava su scala mondiale (e con una quota elevata di fatturato esportato) ha aumentato valore aggiunto e addetti. Esportare è rimasta quindi una condizione necessaria – ma non sufficiente – per avere una performance positiva”.
I nuovi registri statistici adottati dall’Istat, proprio rispetto alle imprese internazionalizzate, “hanno permesso la stima della soglia dell’export di ogni settore manifatturiero, cioè le condizioni ‘minime’ di dimensioni e produttività compatibili con l’attività di esportazione. Questo esercizio ha consentito di classificare le imprese in base alla loro distanza dalla soglia dell’export, fornendo una base interpretativa per eventuali misure di sostegno all’internazionalizzazione”.

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