Sta facendo ancora discutere l’iniziativa presa dai contestatori anti green pass a Novara. Le immagini di centinaia di persone che sfilano per le vie della città vestiti da deportati nei campi di concentramento ha sollevato un polverone di critiche. Troppo azzardato, offensivo e fuori luogo paragonare la situazione odierna di chi si oppone al certificato verde a chi fu vittima del nazismo. Anche la comunità ebraica insorge. Giusy Pace, infermiera vaccinata dell’ospedale Maggiore di Novara, presidente dell’associazione ‘Istanza Diritti Umani’ e organizzatrice di diverse manifestazioni No pass, cerca di giustificare il provocatorio richiamo ad Auschwitz. Intanto il sindacato a cui è iscritta la sospende da tutte le cariche.
Intervistata da Repubblica, Giusy Pace rivendica con orgoglio quanto fatto sabato scorso a Novara. “È un fraintendimento. – dice facendo riferimento al presunto paragone tra No green pass e ebrei – Non volevamo accostarci agli ebrei, ma in generale ai deportati. Perché noi siamo la minoranza: ci definiscono terrapiattisti, no vax, fascisti. Sono tutte storture. Ora anche gli ebrei: è pazzesco”.
“Concentramento nel senso di concentrazione. – puntualizza poi l’infermiera di Novara – noi ci siamo concentrati in uno spazio, per manifestare il nostro dissenso. Non volevamo paragonarci ad Auschwitz, se avessi voluto scegliere un campo avrei scelto Dachau in cui c’erano i politici, tutte le minoranze”. Il filo spinato, invece, “è una protezione. Si mette per proteggere. Per noi aveva quel significato”.
“Non mi aspettavo tutte queste polemiche”, replica al giornalista che le fa notare come il suo gesto sia stato interpretato come “un’offesa alla memoria” dei deportati. “Noi volevamo rappresentare un’appartenenza: se potessi mi farei una spilletta perché abbiamo l’esigenza tra di noi di riconoscerci e condividere. Quale offesa? Noi abbiamo mandato messaggi di amore, non di odio”, si giustifica l’infermiera No pass di Novara. “Noi accostiamo il green pass alla tessera del pane del 1925. Stiamo vivendo un periodo storico molto pericoloso. Il passo dal 1925 al 1933 è veloce. Questo è solo il preludio”, conclude.
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