Abituati ad essere letteralmente bombardati, sui social network, dagli scatti dei cosiddetti VIP, ci rendiamo conto a fatica che in realtà, dietro quello che può sembrare solo il fermo immagine di un momento privato, si nasconde una vera e propria pubblicità occulta.
I selfie pubblicitari delle celebrità sembrano moltiplicarsi, negli ultimi tempi, su Facebook e Instagram, piattaforme enormemente sfruttate dai Vip per mantenere vivo l’interesse del pubblico verso di sé e acquisire un seguito sempre più nutrito.
Ecco che l’Unione Nazionale Consumatori ha pensato bene di intervenire, denunciando per pubblicità occulta all’Antitrust, un buon numero di personaggi dello spettacolo che avrebbero messo ben in evidenza, nei loro scatti, prodotti dei quali ufficialmente non risultano testimonial, facendo risultare le loro foto come dei veri e propri selfie promozionali.
È successo, allora, di trovarsi di fronte Belen Rodriguez che sorseggia un integratore di cui è impossibile non notare la marca; o anche Fedez che fuma placidamente una sigaretta elettronica; o ancora una Tatangelo in versione casalinga, affaccendata in cucina, accanto alla quale si nota, casualmente, il detersivo per piatti in bella mostra.
Come spiega Massimiliano Dona, avvocato e presidente dell’Unione Nazionale Consumatori: «La pubblicità occulta ha il potere di influenzare inconsapevolmente i consumatori nella scelta di un prodotto o nel giudizio su un brand. Se fatta sul web è in grado di raggiungere una vasta platea di persone. A maggior ragione è efficace se fatta da personaggi famosi, i cosiddetti influencer, che hanno online un largo seguito di followers, spesso adolescenti. Per questo urge anche un nuovo quadro normativo che regoli la pubblicità realizzata sui social network».
Selfie pubblicitari: un’abitudine diffusa
Il fenomeno dei selfie pubblicitari è ben lungi dall’essere sconosciuto anche all’estero. Eclatante è il caso di Selena Gomez – attrice, cantante e regina dei social con 112 milioni di follower – che l’estate scorsa ha pubblicato su Instagram un suo primo piano mentre sorseggia languidamente una Coca Cola. La rivista specializzata AdWeek ha stimato che quel singolo post avrebbe potuto raggiungere il valore di 550 mila dollari, parametrandolo rispetto al numero delle visualizzazioni che sarebbe stato in grado di generare.
Il problema è stato non mettere a conoscenza i follower della celebrity del fatto che si trattava, con ogni probabilità, di una sponsorizzazione a tutti gli effetti.
Negli Stati Uniti, quindi, la Federal Trade Commission si è occupata della questione “selfie pubblicitari”, e al riguardo ha sancito un indispensabile principio: «Qualora sia presente una connessione finanziaria a un’azienda, questa relazione esiste sia che si venga pagati per un particolare contenuto social o meno. Se si sta promuovendo un brand o un prodotto, il pubblico ha il diritto di essere a conoscenza di questa relazione».
In Italia siamo ancora lontani dall’avere una normativa ben definita rispetto alla regolamentazione dei selfie pubblicitari. «Il problema è che non abbiamo gli strumenti», spiega Benedetta Liberatore, dirigente dell’AgCom. «Il nostro potere di vigilanza e sanzionatorio, stabilito dalla Direttiva Servizi e media audiovisivi, si applica solo agli editori e alla televisione. I social network, e il web in generale, non sono considerati editori e sono fuori dal nostro controllo».
Tuttavia, è necessario cercare di mettere in atto alcuni interventi, seppur minimi, su uso e abuso dei selfie pubblicitari, per la salvaguardia dei diritti degli utenti. Questo è lo scopo dell’esposto presentato all’Antitrust dalla UNC. «Riteniamo che questo mercato debba essere regolato», conclude Dona, «per questo proponiamo che, d’ora in poi, accanto alla foto, compaia una didascalia di accompagnamento, oppure un hashtag, che informi correttamente il fan del carattere promozionale del messaggio, nel rispetto del Codice del Consumo, che all’art. 22 prescrive di indicare l’intento commerciale di una pratica promozionale».
Ora non resta altro che attendere la decisione dell’Antitrust in merito alla vicenda.