“Esponente del più bel populismo, capopopolo, giacobino e manettaro”. Così Luigi Mascheroni descrive Marco Travaglio sul Giornale.
Un ritratto al vetriolo sul potere, le ambizioni e le contraddizioni di uno dei giornalisti più “di tendenza” e “pop” che l’Italia abbia mai avuto, da Prezzolini a Montanelli, “vero uomo di destra che ha scritto per lungo tempo per giornali di sinistra” senza mai sostenere i partiti di quella fazione.
Non è delicato, Mascheroni, nel definirlo il “badante della Gruber”, riferendosi alla sua presenza fissa nella trasmissione Otto e Mezzo e facendo intendere che sia abile nel cosiddetto “bacio della morte”. Non sono finite bene le carriere politiche degli esponenti che ha sostenuto, da Antonio Di Pietro a Gianfranco Fini, da i girotondini di Moretti a De Magistris e Ingroia. Fino ai Cinque Stelle e Giuseppe Conte, destinati secondo Mascheroni all’irrilevanza.
“Demagogo, onnipresente, conduttore di talk show” secondo Mascheroni è lui il vero inaffondabile, a differenza di coloro che sostiene, rispetto ai quali sembra sempre essere sopravvissuto.