Un miracolo, un’impresa impossibile resa possibile dai progressi dell’ingegneria genetica. Quella che ha visto Matteo togliersi finalmente dagli occhi la benda prima di entrare a casa, travolto dall’emozione, quasi incapace di parlare. “Mamma, ti vedo. Che meraviglia. Anche adesso, di sera e senza lampadine. Vedo tutto, le persone, i cassonetti della spazzatura, le macchine ferme”. Parole che la madre Giusy non scorderà mai. Una storia emozionante andata in scena a Grottaglie, in provincia di Taranto, e raccontata da Repubblica.
Matteo ha 9 anni e fin dalla nascita ha avuto problemi alla vista. “Si capiva dai primi giorni che qualcosa non andava” racconta la madre. Il bambino era affetto da una rara malattia, che in Italia conta solo poche centinaia di casi: la distrofia retinica ereditaria, una progressiva degenerazione dei fotoricettori che causa una graduale riduzione della capacità visiva. Un oculista a Taranto aveva intuito per primo che potesse trattarsi di una malattia genetica, intuizione fondamentale per aiutare Matteo ad affrontare la sua difficilissima battaglia.
In aiuto di Matteo e della famiglia era infatti a quel punto arrivata la professoressa Francesca Simonelli del Policlinico Vanvitelli di Napoli, che aveva iniziato da 12 anni la sperimentazione su questa malattia. Nonostante le rassicurazioni della dottoressa, che aveva parlato ai genitori dei progressi della ricerca, la mamma e il papà del ragazzo erano disperati nel veder peggiorare la sua situazione. Dopo il tramonto, sostanzialmente, non vedeva nulla o quasi.
A cambiare la vita di Matteo, un intervento effettuato in sala operatoria il 27 novembre, 90 minuti durante i quali gli è stato iniettato nella retina un farmaco che in America costa 850 mila dollari e che ora è somministrabile anche in Italia. Il ragazzo era stato selezionato insieme a un’altra bambina pugliese: “È il punto di partenza per curare pazienti futuri”.
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