Ad oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore del nuovo regime fiscale sulle locazioni brevi, la cosiddetta “tassa Airbnb”, la piattaforma di affitti più grande del mondo apre al Fisco. Trasmetterà all’Agenzia delle Entrate i dati di tutti i soggetti che affittano (e incassano) tramite la app. In Italia – spiega Matteo Frigerio, country manager di Airbnb in Italia – potrebbe accadere da gennaio, ammesso che il governo sia pronto a ridiscutere l’impianto generale della norma. “In diversi Paesi europei è iniziato un percorso con i governi che va nella direzione di una collaborazione basata sulla maggiore trasparenza e condivisione in materia di dati, non c’è preclusione ad andare nella stessa direzione anche in Italia”.
La nuova proposta potrebbe essere un altro modo per dribblare l’obbligo di trattenere per il Fisco il 21% di quanto incassato dall’affittuario, una norma in vigore da un anno e mezzo e mai rispettata. Allo stesso tempo però una possibile chiave di volta per stanare tutti i furbetti dell’affitto. Cioè chi incassa tramite le piattaforme e non dichiara al Fisco quanto guadagnato.
Trasmettendo semplicemente nome, cognome, codice fiscale e importi pagati a ciascun host (chi affitta casa), all’Agenzia delle Entrate basterebbe un semplice incrocio dei dati per scoprire chi ha nascosto all’Erario le somme guadagnate. L’offerta insomma è ghiotta: via l’obbligo ad agire come sostituto di imposta e trattenere le tasse e in cambio porte spalancate ai dati degli utenti. Poco importa che la trasmissione delle informazioni fosse già obbligatoria nel provvedimento contestato.
Obbligo però che la piattaforma, anche in questo caso, non ha mai voluto rispettare. Perché? “In Italia ci troviamo di fronte a una norma scritta in modo opaco che impone alle piattaforme di identificare alcuni utenti e solo per quelli prevedere una serie di adempimenti. Un provvedimento – continua il manager – che crea discriminazione e distorsione del mercato come ribadito anche dall’Antitrust e che contestiamo in toto, non possiamo scegliere quali aspetti ci piacciono e quali no”.
In sintesi, il velo dietro cui si nasconde Airbnb è più di forma che di sostanza. Così come è scritta, la legge non consentirebbe alle piattaforme di identificare con chiarezza a quali host si applica e a quali no. E quindi nel dubbio, ha concluso la app, non si applica mai. Il risultato è che Airbnb si è rivelata del tutto inadempiente, cioè non ha trattenuto e versato un euro. Circa 139 milioni l’anno secondo la relazione tecnica del provvedimento, contando i possibili esborsi di tutti gli intermediari, non solo Airbnb.
A causa del forfait della piattaforma, principale “pagatore” atteso, nel 2017 ne sono entrati solo 19. “Quello che diciamo è semplice: sediamoci al tavolo, riscriviamo la norma e noi siamo disponibili a trasmettere i dati”, continua Frigeri. A quel punto la app si chiamerebbe fuori dall’obbligo di trattenere le imposte, che significa scongiurare il pericolo che i propri clienti si vedano decurtato a monte il proprio guadagno del 21% prima di incassare le somme, con il rischio che scelgano di passare ad altre piattaforme o, peggio, ricorrano al nero.
Ti potrebbe interessare anche: Salvini influencer: post con i marchi aziendali sempre in vista. Cosa c’è dietro