Siamo ad Alessandria. Una consigliera comunale del Pd, Vittoria Oneto, su Facebook ha raccontato un vergognoso episodio di razzismo a cui ha assistito mercoledì sull’autobus di linea che aveva preso per tornare a casa. Quello che fa ancora più male, è che l’episodio si è verificato contro una bimba di sette anni. La piccola è stata vittima di discriminazione per il colore della sua pelle: voleva sedersi accanto a una donna che con aria stizzita le ha detto: “No, qui tu non ti siedi”.
Un clima da Apartheid, da Alabama degli anni ’50. Eppure siamo in Italia, ad Alessandria, e storie di questo tipo si verificano ogni giorno, ad ogni latitudine. Per questo è bene che se ne parli e che non si sottovaluti l’emergenza razzismo che sta attraversando il nostro Paese.
La consigliera comunale di Alessandria è intervenuta ed ha poi ottenuto che la piccola si riuscisse a sedere, tra gli sguardi silenziosi di tutti gli altri passeggeri. “Ho preso l’autobus per tornare a casa. Pochi posti a sedere. Io rimango in piedi. Salgono una mamma con due bambini. Lei si appoggia in uno spazio largo col passeggino e la bambina di circa 7 anni prova a sedersi in un posto vicino ad una signora di circa 60 anni che aveva appoggiato la sua borsa della spesa sul sedile. La signora guarda la bambina e le dice : ‘No, no, tu qui non ti siedi!”, ha raccontato Oneto nel suo post.
“Io dico alla donna di spostare la borsa e di fare sedere la bambina ma lei insiste e mi dice in modo arrogante di farmi gli affari miei. Peccato, hai trovato la persona sbagliata. La madre della piccola non dice nulla e guarda a terra”.
“A quel punto alzo la voce sempre di più e le intimo in malomodo di fare sedere immediatamente la bambina e di vergognarsi con tutto il fiato che avevo in gola. La signora a quel punto la fa sedere ma continua a borbottare e a guardare schifata la bambina. Tutte le persone sull’autobus mi guardano in parte compiaciute, in parte no, ma nessuno osa dire nulla”.
La consigliera conclude poi il suo sfogo raccontando tutta l’amarezza provata: “Sono scesa dall’autobus e ho pianto. Per il nervoso, per la tristezza per il senso di sconfitta che ho provato e provo. È questo quello che siamo? È questo quello che vogliamo essere? Io non voglio crederci”. E non vorremmo crederci nemmeno noi.
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