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Alessandro Impagnatiello, l’inquietante previsione sull’assassino di Giulia: “Tra 10 anni uscirà dal carcere”

Riflettori ancora puntati su Alessandro impagnatiello, l’assassino reo confesso di Giulia Tramontano, la compagna incinta di sette mesi. Tutti si aspettano una condanna esemplare per quel brutale omicidio. Ma si sa come funziona la giustizia italiana. Tra riti abbreviati, sconti di pena per buona condotta e, magari, mancato riconoscimento della premeditazione, Impagnatiello rischia seriamente di cavarsela con pochi anni di carcere, evitando l’ergastolo. A ricordare che ci sono buone probabilità che vada a finire proprio così ci pensa Marco Travaglio.
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Alessandro Impagnatiello Marco Travaglio

L’opinione di Marco Travaglio sulla condanna di Alessandro Impagnatiello

Il direttore del Fatto Quotidiano si lancia anche in una previsione precisa di quanti anni di galera potrebbe scontare Alessandro Impagnatiello prima di tornare ad essere un uomo libero. “È l’ennesimo assassino che tra 10 anni uscirà dal carcere a norma di legge per rifarsi una vita”- sentenzia dunque Marco Travaglio – E, se sarà ancora famoso, scriverà sul Foglio o sul Riformista o sull’Unità. Perciò fanno tutti a gara nel condannarlo a parole: perché sanno che presto la farà franca nei fatti”, ironizza amaro.
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Il motivo di questo esito processuale favorevole a Alessandro Impagnatiello è dovuto per Marco Travaglio ai problemi della giustizia italiana. “La verità che nessuno osa confessare è che si cerca di colmare con paroloni e riforme-spot l’abisso fra le pene previste dal Codice, quelle inflitte nelle sentenze di condanna e quelle scontate in carcere (al netto di attenuanti, indulti, scappatoie, cavilli, benefici penitenziari, liberazioni anticipate, misure alternative, sconti per buona condotta e ‘giustizia riparativa’)”, spiega il giornalista.
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Ma a Travaglio non va proprio giù nemmeno la definizione “femminicidio”, perché secondo lui “oggi, se a morire è una donna, si parla di ‘femminicidio’, con tanto di norme specifiche, come se la gravità dell’atto dipendesse dal sesso della vittima. E come se i parenti fossero più sollevati o meno afflitti sapendo che l’omicida è un ‘femminicida’, un ‘mostro’, una ‘bestia’, che ‘deve morire’ o ‘marcire in galera’”, conclude.
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