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Crepet attacca Orsini: “Bambini più felici in dittatura? Una cosa pazzesca”

Alessandro Orsini riesce a far perdere le staffe anche a Paolo Crepet. Ospite di Coffee break su La7, lo psichiatra si lancia in una analisi degli effetti psicologici che stanno colpendo le persone sia a causa della pandemia di Covid che della guerra in Ucraina. Poi Crepet punta il dito contro il professore della Luiss, colpevole a suo dire di aver sostenuto che i bambini siano più felici in dittatura che in democrazia.

Paolo Crepet

“La psicologia è sparita dal vocabolario. Non ci interessa. – tuona Paolo Crepet – Così come non ci interessava durante la pandemia. Sono anni che non ci interessano le persone. Prima ci occupavamo di virus, adesso ci occupiamo di cannoni. Ditemi che differenza fa. Le persone cosa fanno? Come possono sopravvivere? Se è vero che la carta è aumentata dell’80%, che cosa fa chi lavora con la carta? Sono cartiere, sono operai, sono famiglie, sono distretti industriali. Cosa facciamo noi? Poi devo dire che ci sono delle persone strepitose che ho conosciuto in questi mesi. Tipo un signore che ha detto che un bambino è più felice in un Paese totalitario che in una democrazia è una cosa pazzesca. È uno da premio Montessori”.

Alessandro Orsini

Il riferimento di Crepet è ovviamente ad Alessandro Orsini che pochi giorni fa, ospite di Cartabianca, aveva dichiarato di preferire “che i bambini vivano in una dittatura piuttosto che muoiano sotto le bombe in una democrazia. Per quanto sia innamorato della civiltà liberale e abbia sempre promosso i valori del liberalismo, per me la vita umana, la vita dei bambini, è più importante della democrazia e della libertà, anche perché un bambino anche in una dittatura può essere felice, perché un bambino può vivere dell’amore della famiglia”.

Giudizi che avevano provocato anche la reazione stizzita del direttore di Rai 3, Franco Di Mare, che aveva bollato le frasi pronunciate dal professore come “riprovevoli, assolutamente incondivisibili, di cui il professor Orsini si assume naturalmente la responsabilità. Lungo questa china si può rischiare di arrivare a mettere a confronto la testimonianza di un sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti con l’opinione di un negazionista. In osservanza a un’idea distorta e malata del pluralismo delle posizioni”.

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