Lui, Alexei Ananenko, era lì, a Chernobyl, quel 26 aprile 1986 che segnò la storia del mondo. Fu tra i tecnici che nella notte evitò che la tragedia assumesse contorni ancora più drammatici, evitando una secondo esplosione dopo la prima che aveva coinvolto il reattore numero 4. Oggi, quello che all’epoca era un giovane ingegnere dell’industria nucleare sovietica è un pensionato 59enne, ma per lui e quella sua impresa nessuna ricompensa particolare: conduce una vita ordinaria e percepisce 369 euro di pensione al mese.
“Non mi sono mai sentito un eroe. Ho solamente fatto il mio lavoro. Mi fu ordinato di andare e di svuotare le piscine. Io obbedii” ha dichiarato Anenenko al Daily Mail. Appena esploso il reattore nucleare, l’uomo scese con altri due tecnici scese nelle piscine di sicurezza scongiurando che si sviluppasse una seconda nube radioattiva. A differenza delle versioni sostenute dalle autorità sovietiche, Ananenko sottolinea che la loro non fu una scelta eroica ma il rispetto di un ordine impartito: “Non ci avvertirono dei rischi che correvamo”.
Al giornale britannico, l’ingegnere ha raccontato la sensazione provata nel momento in cui insieme ai suoi due colleghi riuscì ad aprire le valvole di sfogo dell’acqua radioattiva: “Quel rumore fu un’emozione indescrivibile. Non avevamo bombole di ossigeno come è stato rappresentato nella miniserie. Cercammo di fare tutto il più velocemente possibile per ridurre le radiazioni assorbite”.
Insieme ad Alexei Ananenko c’erano l’altro ingegnere Valeriy Bezpalov e al tecnico Boris Baranov. Dei tre, Baranov è morto nel 2005, ufficialmente per un attacco di cuore.
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