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Allarme Covid nei mattatoi: “Rischiano di essere i nuovi focolai”

I ritmi sono frenetici e il distanziamento è (quasi) impossibile da attuare. Si tratta del lavoro nei mattatoi, i cui dipendenti sono spesso migranti che vivono in comunità e appartamenti sovraffollati. Il risultato? I macelli di animali – dagli Stati Uniti al Canada, dalla Germania fino all’Italia – sono diventati uno dei nuovi fronti caldi dei focolai di coronavirus. Secondo un’inchiesta del Centers for disease control (Cdc) americano, “Mantenere 1,8 metri di distanza sulle loro linee di produzione è impossibile”. In qualche caso è addirittura impossibile indossare mascherine. I contagi nei colossali stabilimenti degli States, dove 50 impianti lavorano il 98% della carne consumata nel Paese, sono così già arrivati a quota 10mila. A fine aprile 30 macelli a stelle e strisce hanno chiuso i battenti per frenare la pandemia, facendo crollare del 45% la lavorazione di maiali e del 22% quella di bovini e spedendo alle stelle i prezzi della carne. Un uno-due che ha costretto Donald Trump a varare un decreto “salva-hamburger”, dichiarando strategico il settore e attivando il Defense production act per obbligare le aziende a riaprire i battenti malgrado in alcuni impianti quasi il 20% del personale fosse positivo al Covid-19.

Da quanto si apprende da un’inchiesta di Repubblica, i guai della carne made in Usa hanno regalato invece un mese d’oro a Wall Street alle azioni di Beyond Meats, produttore di hamburger e polpette a base di vegetali, che in aprile ha guadagnato il 150%. Il focolaio dei macelli ha colpito anche in Canada ( nel quale il 50% dei 2mila operai dello stabilimento di Calgary è positivo) in Australia alla Cedar Meats (14% di contagi) e in Germania dove sono stati chiusi quattro impianti di abbattimento di animali dove più del 10% dei dipendenti è risultato positivo al tampone.
Coesfeld, in Westfalia, rischia in particolare di diventare l’epicentro di una seconda ondata di contagi in Germania: il distretto è tra i primi ad aver superato la soglia d’allarme di 50 infetti ogni 100mila abitanti. Per giorni, prima che chiudessero i cancelli del mattatoio, il pastore evangelico Peter Kossen ha protestato all’ingresso contro “la moderna schiavitù” cui sarebbero sottoposti i lavoratori, spesso provenienti dall’Est Europa. Sessanta ore di lavoro in sei giorni non sono una rarità, ha raccontato alla Westfaelische Zeitung. In più, molti vivrebbero ammassati in case popolari, spesso più di 5 in un appartamento.
Molti lavoratori sono stranieri
A peggiorare la situazione lavorative dei mattatoi è la composizione multietnica del personale: negli Usa gran parte dei lavoratori (pagati attorno ai 13 dollari l’ora) sono migranti sudamericani o asiatici e ben il 14% di loro non parla inglese, in Germania sono rumeni e bulgari, in Australia asiatici. “E i problemi socio-economici possono aver convinto molti di loro a lavorare malgrado i sintomi – scrive la Cdc – convinti anche dai bonus promessi dai datori di lavoro a chi non rimaneva a casa”.
La situazione nei mattatoi italiani
L’Italia ha registrato per ora solo un paio di casi: un macello di Palo del Colle, in Puglia, è rimasto chiuso per un paio di settimane dopo 71 casi positivi al coronavirus. Una delle rarissime zone rosse della Campania è stata costruita invece a inizio aprile a Paolisi dopo alcuni casi in un’impresa avicola.

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