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Andrea Carnevale, la rivelazione: “Papà uccise mamma, io bambino indicai sangue alla polizia. Perego? Non fu solo colpa mia”

Carnevale padre uccise moglie

Quando aveva soltanto 13 anni, il padre Gaetano, ex manovale delle Ferrovie dello Stato, uccise la moglie Filomena, da cui aveva avuto sette figli, mentre la donna stava lavando i panni nel fiume che sfocia nel lago di Fondi. Lo stesso Gaetano, anni dopo, si suicidò nel manicomio criminale di Aversa. Andrea Carnevale, 63 anni compiuti il 12 gennaio, nato in provincia di Latina, si racconta in un’intervista a Repubblica. “Da bambino sono stato un uomo, forte e responsabile. Da grande sono stato un bambino e ho pagato tutte le mie ingenuità”. Si racconta così, il capo dello scouting dell’Udinese, l’ex compagno di Maradona, con parole che cercano di racchiudere il grande dolore della sua vita: l’uccisione della madre da parte del padre.
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Andrea Carnevale, il grande dolore per l’uccisione della madre da parte del padre

“Mi fa male quando leggo dei femminicidi, di queste donne picchiate, violate. Mi ricordo di quando, in paese, parlavamo con i carabinieri di quello che succedeva a casa e ci dicevano: ‘Se non vediamo il sangue….’. Cosa potevo, cosa potevamo fare? Poi, quel giorno, il fiume si è colorato di rosso. Ho detto al maresciallo: ‘Ora vedi il sangue che volevi’. Ma non sono morto. Non sono morto. Ho fatto la mia vita”. Quando volge lo sguardo indietro, Andrea Carnevale vede “un bambino povero, orfano, destinato a fare il muratore. Un ragazzino che, dopo sei chilometri di bicicletta, andava a lavorare dal fabbro o in segheria. Io devo ringraziare il pallone e il campo da calcio vicino a casa. È stata quella la mia scuola. Mi dispiace dirlo, se penso che qualche ragazzo leggerà questa intervista, ma è la verità: il pallone era il mio futuro. Oggi mi sento ancora un ragazzino e mi ritengo un uomo fortunato, fortunatissimo”. Confessa di aver avuto una vita di alti e bassi. “Mi sono sentito onnipotente, bello, ricco, pensavo che nessuno mi potesse toccare. Per i miei errori sono caduto quando ero all’apice”.

Andrea Carnevale, il ricordo dei Mondiali del ’90 e l’amicizia con Schillaci

Durante l’intervista c’è spazio per i ricordi dei Mondiali del ’90.
“Avevo appena vinto lo scudetto col Napoli, mi ero preparato perfettamente. Ho giocato bene con gli austriaci, ma mi sono mangiato due gol, e pure con gli americani. Biscardi fece rivedere le immagini di quella telecamera puntata su di me. Vicini mi chiamò: ‘Andrea, ma che mi hai mandato affanculo?’. Io mi scusai, gli spiegai che era solo un’imprecazione ma dalla partita successiva mi lasciò in tribuna, fino alla fine del Mondiale. Poi ci chiarimmo nel 1993, quando Vicini venne ad allenare l’Udinese, dove giocavo. Perché io sono esuberante ma buono, so ammettere i miei errori. Un anno non mi presentai al ritiro del Napoli perché pensavo che l’allenatore, Bianchi, ce l’avesse con me. Adesso con Ottavio, che ha 80 anni, ci sentiamo o ci mandiamo messaggi almeno una volta a settimana”.


Poi il ricordo di Totò Schillaci, l’uomo delle notti magiche. “Nel ritiro di Marino lo chiamavo ‘tiroide’: ogni tiro un gol. Ci ridevamo su, un ragazzo simpaticissimo, ci vogliamo bene. Era spesso in camera mia, con Baggio e Vialli: una sigaretta, quattro chiacchiere. Nel 1992 mi voleva l’Inter, ma non ci accordammo sulla durata del contratto. Alla fine ci andò lui. Anche lì Schillaci prese il mio posto”.

Andrea Carnevale, l’arresto per spaccio

Una terribile vicenda giudiziaria, nel 2002, coinvolge Carnevale. “Una telefonata che non dovevo fare, un millantatore che mi accusò, la mia solita ingenuità. Ma figuriamoci se mi mettevo a spacciare droga. Un periodo tremendo: un mese ai domiciliari, anni di processi. Volevo liberarmi e dissi al mio avvocato, Franco Coppi: ‘Perché non patteggiamo?’. ‘No, caro Andrea, non hai fatto niente, devi uscire innocente dal tribunale’. Aveva ragione: fui assolto. Devo ringraziare lui e la famiglia Pozzo, che in un momento di grande dolore mi ha chiamato e mi ha voluto all’Udinese: la mia salvezza, una gioia che forse non si può comprendere. È stato come rinascere, perché mi ero perso e avevo perso una moglie e i miei due figli”.

Il matrimonio con Paola Perego

Dal matrimonio con Paola Perego sono nati Giulia, nel 1992, e Riccardo, nel 1996.
“Ci siamo sposati a Monte San Biagio il 12 luglio 1990, subito dopo la fine di Italia ’90. In questi anni lei ha parlato pubblicamente dei miei tradimenti, della depressione. E tutto questo mi ha danneggiato. Io sono sempre stato zitto, non sono un uomo da gossip. A giugno scorso ho affrontato l’argomento con Giulia e Riccardo, non volevo pensassero che ho abbandonato lei a 4 anni e lui a 4 mesi. Sono andato a Udine perché in un momento drammatico della mia vita ho trovato i Pozzo, che mi hanno aiutato, mi hanno dato una possibilità. Poi sì, ho commesso i miei sbagli, ma non sono stato l’unico a sbagliare in quel matrimonio. Non voglio che tra qualche anno i miei nipoti leggano che il nonno è stato il più grande puttaniere d’Italia. Io non ho lasciato, sono stato lasciato. E anche tradito”.

Nel 2005 il secondo matrimonio

“Con Beatrice, una donna splendida con cui ho avuto Arianna che ora va all’università. Vivo a Udine da 23 anni, ormai sono friulano. Sono affezionato alle grandi città in cui ho lavorato, come Roma e Napoli, ma dopo due giorni scappo e ritorno qui, nel mio paradiso”.

Andrea Carnevale: “Maradona il più forte calciatore di tutti i tempi”

“Il più forte calciatore di tutti i tempi. Lo vedevo ogni giorno, eravamo compagni, eppure ogni volta avevo la tremarella, perché Diego era immenso, una personalità emozionante, ero e sono fiero di averlo conosciuto. Quando arrivava lui, si fermavano gli aeroporti, gli alberghi, gli stadi. Lo marcavano in tre ma noi con lui partivamo sempre dall’1-0. Pelé era fortissimo, come Messi, ma Maradona è stato unico. Ci siamo voluti un bene pazzesco, quando tornava in Italia ci vedevamo sempre, come con gli altri giocatori di quella squadra. Diego mi ha reso ricco di animo, di cuore e anche di soldi”.

La maglia che indossava il 10 maggio 1987, quando segnò il gol della certezza del primo scudetto del Napoli, a dicembre è stata battuta all’asta per 9mila euro. “Io non ho più niente di quando ero calciatore. Regalavo tutto per il sorriso di un bambino. Ora ho una maglia dell’ultimo scudetto del Napoli, me l’ha data Zielinski, che abbiamo portato in Italia a 16 anni. Un talento straordinario, piede destro e piede sinistro uguali, poteva fare molto di più in carriera, secondo me”.

Andrea Carnevale: “Il mio ricordo più bello…”

Carnevale di definisce “un coglione nella vita, in campo ero un bastardo, calcisticamente parlando. Io giocavo per la fame, per il piatto della sera. Oggi i ragazzi, i genitori, i procuratori a cosa guardano? Ai soldi. Fanno i loro interessi, ci mancherebbe, ma se giochi per fame è un’altra cosa”. E’ convinto che il suo più grande colpo in questi 23 anni all’Udinese sia “Handanovic. Andai a vederlo in una partita in cui subì tre gol, non giocò neanche benissimo ma capii il potenziale. Eravamo tre osservatori, al campo, lo feci prendere all’Udinese per 40.000 euro. Abbiamo scovato tanti giocatori poi diventati famosi in questi anni. Sanchez, Cuadrado, Inler, Quagliarella, Allan, Samardzic. Nel 2023 abbiamo avuto due campioni d’Italia, Zielinski e Meret, e due campioni del mondo, De Paul e Molina. Siamo sempre in Serie A dal 1995 e, nei miei anni da dirigente, abbiamo giocato quattro coppe dei campioni e tre coppe Uefa”. E ora c’è Simone Pafundi, 17 anni, il futuro del calcio italiano, che però fatica a trovare spazio. “Deve solo avere pazienza e ascoltare i consigli di chi gli vuole bene, come me, che ho una foto con lui quando aveva 10 anni e mi arrivava a una gamba. Quando sarà pronto, sarà buttato dentro perché nessun allenatore è masochista. Ce lo teniamo stretto per il suo talento. Il futuro gli appartiene, sarà un titolare fisso della Nazionale”. La lunghissima intervista, si chiude con una domanda suggestiva: Carnevale, si volti ancora una volta indietro. Il momento più felice? La risposta lo è ancor di più: “Natale. Noi sette fratelli in una taverna, con il caminetto acceso. Vedere quella tavola imbandita, sorelle e fratelli sistemati grazie anche all’aiuto che il calcio mi ha permesso di dargli. Io sono nato per stare in famiglia”.
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