Una vita di reperibilità, urgenze e notti, che non conosce il significato della parola festivo né, troppo spesso, della parola riposo. Lo sanno bene, gli ospedalieri, soprattutto medici di Pronto soccorso e di medicina d’urgenza, internisti, anestesisti, specialisti in chirurgia generale. Ma anche infermieri e operatori sanitari, ovviamente. Una vita di sacrifici dedita al lavoro, trascurando inevitabilmente se stessi e i propri cari. A peggiorare la situazione è arrivata anche la pandemia mondiale di Covid-19, cosicché oltre allo stress è arrivata anche la paura di infettarsi e morire. Dunque se qualche medico, infermiere o anestesista arriva al limite prendendo la decisione di cambiare vita, come biasimarlo. “È diventato impossibile lavorare, si fanno turni di dodici ore, ritmi pesantissimi anche per un giovane neo assunto ma insostenibili per una persona di 60 anni. Capita spesso che ti chiamino per intubare qualcuno, fai tempo a spogliarti marcio di sudore, mangi qualcosa e poi si deve tornare dentro di corsa. Si esce stremati. La stanchezza è sia fisica sia psicologica e la somma delle due è un peso che per me è diventato non più tollerabile”.
La seconda vita come medico di famiglia comincerà il 1° febbraio, ma l’anestesista è già inserito in graduatoria all’Asl To4. I racconti dei medici di famiglia che si lamentano per un carico di lavoro difficilmente tollerabile anche per loro non lo spaventa: “Ho parlato con un collega che mi sta spiegando il lavoro, e mi rendo conto delle difficoltà e del disagio di questi mesi anche per i medici di medicina generale, ma la vita in ospedale non è paragonabile, non c’è confronto che tenga”.
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