Adesso anche i medici si ribellano al supercommissario Domenico Arcuri, e si aggiungono anche loro a una lista di contestatori che si fa sempre più lunga. Dopo gli anestesisti, ora è il turno dei rianimatori: costretti anche loro a manifestare sconcerto di fronte alla pervicacia con la quale Arcuri ha affermato che non ci sarebbero pressioni particolari sulle terapie intensive. La risposta dei diretti interessati non si è fatta di certo attendere: “Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile, ma in realtà nelle regioni rosse la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto ma molto pesante”. Queste, ad esempio, le parole di Antonio Giarratano, il presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti), che conosce la drammatica realtà e non soltanto l’algebra impersonale dell’algoritmo.
“Affermare che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensa-re che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è così”. Poi si è aggiunto il direttore di microbiologia e virologia all’Università di Padova Andrea Crisanti, a commentare, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, le affermazioni del commissario Arcuri, secondo il quale le terapie intensive non sono ora sotto pressione, perché i posti sono aumentati fino a 10.000 e attualmente ci sono circa 3.300 pazienti Covid ricoverati.
“Un posto di terapia intensiva – dice Crisanti – non si crea solo accendendo un ventilatore. C’è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficile da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Un rianimatore ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti”.
Il professor Crisanti ha poi sottolineato quello che definisce un “paradosso”: “Più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive meno pressione c’è e più il virus si diffonde. Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti”.
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