Lo scambio di lettere, più o meno al veleno, tra Aspi e il governo giallorosso prosegue incessante. La trattativa, invece, non si sblocca. Una situazione che sta creando non poco imbarazzo soprattutto per chi, Conte in primis, mesi fa aveva annunciato il raggiungimento di un accordo definitivo e che vede ora il rischio di un prolungamento dei tempi. Con un finale ancora tutto da scrivere, dopo che a lungo il più era sembrato fatto.
Nelle ultime ore, la ministra dei Trasporti Paola De Micheli ha annunciato di aver ricevuto l’ennesima missiva da parte di Autostrade per l’Italia. Che si dice pronta a sottoscrivere l’ormai famosa intesa del 14 luglio. Avanzando, però, una rivendicazione non proprio ininfluente. La società controllata da Atlantia chiede infatti di poter mettere sul mercato le quote della società senza passare dalla cessione diretta a Cassa Depositi e Prestiti, iter che era stato inizialmente invece delineato dal governo.
Un ostacolo non da poco, visto che stando a quanto dichiarato dal premier Conte proprio il trasferimento dell’88% di Aspi sarebbe la condizione necessaria per cancellare la procedura di revoca delle concessioni. La società guidata dall’ad Roberto Tomasi, però, da quell’orecchio non sembra affatto sentire. Da par suo Atlantia rivendica il rispetto di tutti gli altri punti dell’intesa, sottolineando come un’eventuale revoca metterebbe di colpo a rischio 7 mila posti di lavoro.
Di fronte all’ennesimo colpo di scena Gualtieri ha tuonato: “Se non si rispettano gli accordi non si potrebbe interrompere il processo di revoca”. Ma i rischi dietro uno strappo sono tanti: a partire da un processo dai tempi lunghissimi fino ad arrivare, nella peggiore delle ipotesi, all’obbligo di pagare un mega-risarcimento. Una serie di insidie che tutti preferirebbero risparmiarsi. Ma l’accordo, a oggi, resta lontano.
Il peso di Conte: un suo partito toglierebbe voti anche al centrosinistra