Riemerge il tema delle baby pensioni. Dopo uno studio pubblicato dalla Cgia vale la pena mettere in evidenza alcuni numeri e ragionare su quanto siano costate e continuino a costare allo Stato. I baby pensionati, se qualcuno non se lo ricordasse, sono coloro che sono usciti dal mondo del lavoro prima del 1980 utilizzando agevolazioni di legge (all’epoca consentite). Questo giochino costa all’Italia almeno 7 miliardi di euro l’anno: parliamo dello 0,4% del Pil per circa 562mila persone. Di queste, oltre 386mila sono costituite in massima parte da invalidi o ex dipendenti delle grandi aziende.
L’Ufficio studi della CGIA sottolinea come le baby pensioni abbiano per le casse dello Stato lo stesso peso (importo) previsto quest’anno per il reddito/pensione di cittadinanza e addirittura superiore di quasi 2 miliardi della spesa necessaria nel 2020 per pagare gli assegni pensionistici a coloro che beneficeranno di quota 100. “Il termine baby pensioni è ovviamente informale – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo -, non ha alcun fondamento legislativo e abbiamo deciso di racchiudere in questa categoria coloro che hanno lasciato il lavoro prima della fine del 1980. In totale sono quasi 562mila le persone che non timbrano più il cartellino da almeno 40 anni”.
Molti di questi impiegati hanno potuto lasciare definitivamente la scrivania dell’ufficio in età giovanissima, grazie alla legge approvata nel 1973 dal governo allora presieduto da Mariano Rumor. E gli effetti economici di queste decisioni politiche si fanno sentire ancora adesso. Sottolinea il segretario della CGIA Renato Mason: “Le baby pensioni sono uno degli esempi più clamorosi di come l’Italia, dopo la crescita registrata nei primi decenni del secondo dopoguerra, abbia successivamente abbandonato l’idea di fondare il proprio futuro sulla solidarietà intergenerazionale”.
Tra i pensionati baby sono i dipendenti pubblici ad aver lasciato il posto di lavoro in età più giovane (41,9 anni), mentre nella gestione privata l’età media della decorrenza della pensione è scattata dopo (42,7 anni). In entrambi i casi, comunque, l’abbandono definitivo del posto di lavoro è avvenuto praticamente con 20 anni di età in meno rispetto a chi, oggi, usufruisce di Quota 100. Ecco come l’Italia investe nei giovani e nel loro futuro.
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