Ai fedeli musulmani turchi è vietato acquistare, fare affari e investire i propri risparmi in Bitcoin: a stabilirlo è il Dyianet, l’istituzione statale turca che si occupa degli affari religiosi.
La sentenza è arrivata a fine novembre dopo che alcuni cittadini turchi hanno posto al Dyianet un quesito sulla legittimità e sulla moralità di questo nuovo strumento del web. La risposta non lascia spazio a dubbi: secondo le autorità religiose turche, infatti, i Bitcoin si prestano facilmente a speculazione sul loro valore, nonché a molte altre pratiche illecite quali evasione fiscale e riciclaggio. Tutte queste attività, fortemente incompatibili con la fede islamica sono dunque la ragione principale della sentenza.
Perché gli imam sono contro il Bitcoin?
Anche i religiosi islamici entrano nel dibattito sul Bitcoin. Il Bitcoin “non è appropriato” all’Islam. A bocciare la criptovaluta secondo i principi musulmani è la Direzione per gli affari religiosi della Turchia (Diyanet), massima autorità islamica del Paese.
“Giunti a questo punto, l’acquisto e la vendita di valute digitali non sono appropriati secondo la religione per il fatto che sono aperte a speculazioni rispetto al loro valore e possono facilmente essere impiegate in attività illegali come il riciclaggio di denaro. Sono inoltre prive di controllo e supervisione statale”, è stata la risposta della Diyanet.
I profitti realizzati così, sono però considerati illegittimi dalle autorità religiose musulmane. L’ultima presa di posizione è quella del muftì egiziano Magdy Ashour, che ha addirittura emesso una fatwa per proibire l’utilizzo di uno strumento “utilizzato direttamente per finanziare terroristi”.
L’autorità religiosa, citato dal giornale Egypt Today, ha sottolineato che non esiste nessuna garanzia sulla tracciabilità dei bitcoin, che non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo da parte della Banca Centrale del Cairo. Il muftì sottolinea poi che la stessa concezione della criptomoneta contraddice i precetti dell’Islam, perché transazioni che coinvolgono i bitcoin non hanno regole prestabilite da un contratto e possono venire assimilati ai “profitti eccessivi” tipici dell’usura, proibita dal diritto civile islamico. Pertanto, molte persone negli stati del Golfo e oltre non considerano bitcoin, ethereum e altri criptos conformi alla legge della Sharia.
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Bitcoin quasi un tabù
La questione è l’ultima una discussione più ampia riguardante Bitcoin: Finora nessun paese ha adottato una legge precisa nei confronti della valuta informatica, il che la rende una miniera d’oro per i criminali. Il sistema, infatti, è basato sul concetto “peer-2-peer”, che consente transazione istantanee, non rintracciabili e perfettamente anonime. Per intenderci è lo stesso meccanismo con cui si scaricano i film pirata da internet.
In questo caso però, il danno non si limita al mancato guadagno degli editori cinematografici, ma assume proporzioni molto maggiori: il rischio è che la criminalità organizzata possa acquistare ingenti somme di Bitcoin, per poi utilizzarli per affari illeciti, creando una rete di riciclaggio di denaro, completamente incontrollata e difficilmente rintracciabile dalle autorità.
Tuttavia in questo caso il verdetto assume un’importanza più profonda, in quanto Bitcoin è contrario non solo alle leggi dello stato, ma anche alle leggi del Corano, che in molti paesi di tradizione musulmana coincidono. Ma criptomoneta è invisa anche a Paesi dalla cultura completamente diversa rispetto a quella delle monarchie islamica. La Cina ha messo limiti precisi perché teme che il Bitcoin possa scardinare il controllo statale sull’economia.
Come in tutte le novità tecnologiche, il problema non sussiste nello strumento in sé, ma nelle vere intenzioni di chi lo maneggia. Bitcoin è stata creata nel 2008 da un anonimo inventore, con tutte le buone intenzioni del caso: praticità, velocità, riduzione dei costi di gestione dei propri risparmi e abbandono delle tradizionali forme contrattuali bancarie. Non è stato però pensato come mantenere gli iniziali buoni propositi di questi progetti come bitcoin revolution, senza una legislazione da parte di un’autorità statale, senza cioè che la politica e la finanza tradizionali invadano il mondo libero, incontrollato e apparentemente sicuro di internet.
L’oro come criptovaluta
Per servire queste ricche popolazioni islamiche, si conforma un nuovo tipo di cripta approvata dalla sharia. A Dubai, una startup ha creato una criptovaluta che è supportata da uno dei beni più stabili al mondo: l’oro. L’intonazione di OneGram è che ogni unità di valore è supportata da un grammo di oro fisico che viene tenuto in una cassaforte. Ciò limita pertanto la volatilità e la speculazione ed è stato ritenuto accettabile ai sensi dei principi islamici da parte di al-Maali Consulting di Dubai.
“Stiamo cercando di dimostrare che le regole e i regolamenti della sharia sono pienamente compatibili con la tecnologia digitale blockchain“, ha detto il cofondatore Ibrahim Mohammed, secondo la Reuters. Dopo aver raggiunto il massimo storico di quasi $ 20.000 nel 2017, il prezzo è sceso quest’anno, attestandosi a $ 7.000 al momento della scrittura.
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