Nonostante le scuse ufficiali e i tentativi di gettare acqua sul fuoco da parte di Google, il boicottaggio delle pubblicità su YouTube potrebbe costare centinaia di milioni di dollari al colosso di Mountain View. Lo sostengono gli analisti del Nomura Instinet, che hanno calcolato l’impatto dell’abbandono da parte degli inserzionisti sulla più famosa piattaforma di video online.
250 brand hanno sospeso le inserzioni
Dall’Uk, agli Usa e Australia l’abbandono delle pubblicità (non legate ai risultati del motore di ricerca) produrrà una pesante diminuzione dei ricavi di Youtube. Secondo il Nomura Instinet, i ricavi nel 2017 dovrebbero essere inferiori del 7,5% rispetto a quanto atteso in precedenza, scendendo di 755 milioni da 10,2 a 9,5 miliardi di dollari. A generare questa perdita non sarà solo il problema delle mancate inserzioni, ma anche i costi da sostenere per risolvere la questione. Non sarà un crollo pesante, ma pur sempre rilevante, se venissero confermate le previsioni di Nomura che parlano comunque di ricavi per 73 miliardi di dollari nel 2017.
Google è però corsa ai ripari e ha annunciato maggiori controlli sui contenuti d’odio, offensivi e denigratori, e offerto più strumenti agli inserzionisti per decidere il collocamento delle pubblicità su Youtube. “Se vedrete fluttuazioni nei vostri ricavi nelle prossime settimane, è possibile che siano legate alla messa a punto dei nostri sistemi per affrontare queste preoccupazioni”, ha scritto una community manager sul forum di Youtube.
Il problema è di difficile soluzione: il materiale da analizzare ed eventualmente censurare ammonta a 400 ore di video caricate ogni minuto. Nessun sistema di controllo è ad oggi in grado di stabilire inequivocabilmente quando un contenuto è offensivo e violento e quando invece non lo è. “Anche se riconosciamo che nessun sistema è perfetto al 100%, crediamo che questi ulteriori passaggi salvaguarderanno i nostri inserzionisti”, ha scritto in un post il Chief business officer di Google Philipp Schindler.
La corsa ai ripari non ha arrestato comunque l’onda che dal Regno Unito agli Usa all’Australia ha visto sempre più compagnie togliere le reclame su YouTube. Secondo il Times sarebbero oltre 250 i brand in fuga dalla piattaforma. A cui si è aggiunto anche il governo federale dell’Australia, che ha preso la decisione di sospendere le proprie inserzioni istituzionali.