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Boicottare i prodotti turchi tramite i codici a barre: l’ultima bufala sui social

Boicottare i prodotti turchi riconoscendoli dai codici a barre. È questa l’ultima trovata circolata sui social e in particolare tramite le chat di WhatsApp. Contro le incursioni della Turchia in territorio siriano, dunque, possiamo fare la nostra parte ponendo attenzione quando facciamo la spesa al supermercato. Ma è davvero possibile? E quali conseguenze avrebbe una pratica simile? Come accade spesso, bisogna prendere con le pinze quello che circola sui social e che diventa virale.

Se in linea di principio l’iniziativa potrebbe anche sembrare ragionevole, nella pratica il modo con cui si propone di applicarla è così intriso di fraintendimenti che rischia addirittura di essere controproducente. La proposta, rilanciata attraverso la foto di un codice a barre con una macchia di sangue fusa con la bandiera della Turchia e un breve testo di accompagnamento, è di interrompere qualunque acquisto di prodotti che abbiano come prime tre cifre del codice a barre le sequenze 868 oppure 869.

“Boicottare la Turchia”, si legge per esempio in uno dei messaggi diventati virali. Ma il problema principale è che le due sequenze numeriche indicano qualcosa di ben più complesso della banale provenienza turca dei prodotti, quindi non ha molto senso utilizzarle come punto di partenza per un boicottaggio serio. I codici a barre, infatti, iniziano con una tripletta di numeri che corrisponde al cosiddetto codice Ean (che sta per European Article Number), talvolta identificato anche con la sigla Gs1.

Tuttavia, il meccanismo non è così semplice. Anzitutto perché il codice può corrispondere al Paese in cui è stato concluso il processo di lavorazione, ma con materie prime importate da uno Stato diverso. E poi è anche possibile richiedere (e ottenere) un codice corrispondente a un determinato Paese anche se l’articolo in vendita è stato prodotto altrove.

C’è però un’altra questione rilevante, ossia identificare chi sarebbe effettivamente colpito da un’azione di boicottaggio come quella proposta. Risulta improbabile, infatti, che a pagare le spese della mancata commercializzazione di qualche specifico prodotto turco commercializzato in Italia sia direttamente il governo di Recep Tayyip Erdogan, l’esercito che ha sconfinato in Siria o comunque quella élite che gestisce il regime ad Ankara.

Ad avere le peggiori ripercussioni sarebbero aziende locali e dunque incolpevoli lavoratori, normali cittadini e le loro famiglie. In questo senso anche inviti come quello di Rete Kurdistan Italia, che senza citare la questione dei codici a barre propone “boicottaggio turistico”, delle “aziende italiane che operano in Turchia” e delle “imprese turche che commercializzano in Italia”, potrebbero sollevare più di qualche perplessità a livello di reale efficacia.

 

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