Il Pd si conferma campione di spaccature e fastidi intestinali. A creare ulteriore tensione in un partito molto indebolito, con il segretario ZIngaretti messo spesso sotto accusa (un po’ per l’immobilismo nella crisi di governo, un po’ per la questione-donne), ora scoppia la grana Bonaccini. Il presidente dell’Emilia Romagna si è “schierato” con Salvini sull’apertura serale di pub e ristoranti che definisce “ragionevole dove non ci siano troppi rischi di contagio”. E questo ha subito scatenato l’ira dei “rigoristi” del suo partito: “Così hai offferto un assist alla Lega”, gli avrebbero detto, ragionando in politichese. Ma il verace Bonaccini, dato come uno dei prossimi papabili per prendere le redini del partito, non è stato di certo lì ad accusare il colpo, e ha subito replicato. (Continua a leggere dopo la foto)
“Per me Salvini può fare e dire quello che vuole – dice Bonaccini in alcune dichiarazioni riportate da Repubblica -. Non ho tempo di stare dietro al gossip né alle polemiche strumentali. Soprattutto non ho nulla da dimostrare: io sono uno dei pochi che l’ha battuto nelle urne, e come rappresentante e uomo delle istituzioni ho il dovere di rappresentare il mio territorio, dove ci sono categorie di lavoratori e imprese che sono alla disperazione e vanno ascoltati”.
Così, dalle parti del Nazareno inizia a respirarsi la classica aria da lunghi coltelli che precede ogni resa dei conti. “Il fallimento del Conte ter e la nascita del governo Draghi non sono la sconfitta della politica: sono la sconfitta della una linea politica dell’attuale segreteria”, dice Matteo Orfini. Al segretario Zingaretti viene rimproverato l’arroccamento perdente sul governo Conte, la “subalternità” all’ex premier e agli alleati M5s, e anche la questione femminile: il Pd è stato l’unico partito (insieme a Leu) a non aver indicato donne per i ministeri di Draghi.
E si parla di congresso. La ditta vorrebbe che Zingaretti si affrettasse ad ottenere una riconferma, assestando una sonora sconfitta ai contestatori. Un congresso, quindi. In tempi stretti per tagliare la strada, nelle speranze della Ditta, a candidati come l’emiliano Bonaccini, e a quella filiera di amministratori locali (di cui fanno parte sindaci come Gori e lo stesso Nardella, il milanese Sala e il barese Decaro) che vorrebbero spostare il Pd su un asse meno nostalgico e più riformista.
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