Centomila immigrati irregolari nuovi di zecca, al di fuori di ogni logica di integrazione, di controllo, di inserimento nel mondo del lavoro. Questo, su tutti, è l’effetto principale di un anno e mezzo di decreti sicurezza, quelli firmati da Matteo Salvini ai tempi in cui occupava il ruolo di ministro dell’Interno. Una situazione di estremo disagio, un popolo di invisibili che nella maggior parte dei casi è rimasto nel nostro territorio, relegato ormai all’illegalità, o ha tentato di raggiungere il Nord Europa con il rischio, però, di essere beccati e rispediti in Italia.
I numeri spiegano meglio di qualsiasi altra analisi i frutti dei decreti sicurezza, sulla cui abolizione la maggioranza sta discutendo in maniera quasi quotidiana. Le proiezioni Ispi basate sui dati del Viminale raccontando infatti che i famosi 500 mila immigrati irregolari che Salvini aveva promesso di mandare a casa in fretta e furia sono nel frattempo diventati 600 mila e potrebbero sfiorare quota 650 mila entro giugno. I rimpatri sono invece fermi a quota settemila, pochissimi, anche se in crescita da quando c’è stato l’avvento del ministro Lamorgese al posto del leader della Lega (2.400 risalgono infatti agli ultimi quattro mesi).
Dei 100 mila nuovi irregolari, secondo le stime, almeno 30 mila sarebbero l’effetto dei discussi decreti sicurezza. Persone che erano già presenti in Italia con permessi di protezione umanitaria non rinnovati, richiedenti asilo che si sono visti di colpo negare ogni tipo di protezione e sono stati costretti a interrompere il loro percorso di integrazione, rinunciando a contratti di lavoro, scuola, corsi di formazione. La percentuale di domande respinte è ormai arrivata all’80%.
Al momento dell’arrivo di Salvini al Viminale, i migranti in fase di accoglienza erano 168 mila. Un numero che si è andato pian piano dimezzando o quasi, scendendo a quota 90 mila, lasciando per strada non solo migliaia di persone ma anche almeno 15 mila lavoratori nel terzo setore, quasi tutti italiani, che hanno perso i loro posti di lavoro nei centri di accoglienza.
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