Ore di passione, sul fronte Brexit. Con il voto del parlamento britannico sull’accordo raggiunto dal governo di Boris Johnson con l’Unione Europea che ha portato alla richiesta di un rinvio della scadenza del 31 ottobre per l’uscita dall’Unione Europea, rinvio chiesto con una lettera non firmata dal premier profondamente contrario a ritardare ulteriormente le operazioni.
Una giornata, quella vissuta nelle scorse ore, a suo modo storica: visti i tempi stretti che c’erano per approvare l’accordo, il parlamento è stato convocato di sabato per la prima volta dai tempi della guerra nelle Falkland. Alla fine, la Camera dei Comuni ha approvato il cosiddetto “emendamento Letwin” e subito dopo inoltrato la richiesta per uno slittamento della Brexit, prevista per il 31 ottobre: altri 3 mesi, fino al 31 gennaio 2020.
Un passaggio che accresce la tensione dopo che Johnson aveva trovato l’accoro con l’Ue dopo una lunghissima trattativa, impegno che tra l’altro costerà al Regno Unito circa 40 miliardi di euro (fondi già stanziati da parte dell’Unione nei confronti dell’Inghilterra e obblighi già presi dal governo britannico). Un compromesso che sembrava aver risolto il nodo centrale della querelle, il confine fra Eire e Irlanda del Nord.
La soluzione trovata è la seguente: uno spostamento ideale del confine commerciale e doganale fra le due Irlande, posizionato nel Mar d’Irlanda, cioè tra Belfast e la Gran Bretagna. Tutte le merci che devono passare dall’Irlanda del Nord per entrare nell’Eire, dunque in Ue, dalla Gran Bretagna saranno controllate da ufficiali di frontiera britannici ed europei prima di arrivare a terra. Così saranno rispettate le norme europee. Per il passaggio le aziende dovranno pagare una tariffa all’Unione Europea.
Johnson difende a spada tratta la sua decisione e ha ribadito l’intenzione di presentare lunedì 21 alla Camera dei comuni il suo accordo, non votato nelle scorse ore. “Un ulteriore rinvio non è una soluzione” ha tuonato, appellandosi ai deputati nella speranza che sposino la sua posizione.
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