Cecile Kyenge esulta, Roberto Calderoli invece non se la ride. Almeno per ora, visto che pur sempre di primo grado si tratta. Il leghista è stato condannato a un anno e sei mesi per aver pronunciato delle frasi offensive verso l’ex ministro del governo Letta dal palco di Treviglio nel 2013, durante un raduno del Carroccio. I giudici hanno riconosciuto l’aggravante razziale. “Anche se si tratta del primo grado di giudizio, e anche se la pena è sospesa, è una sentenza incoraggiante” ha festeggiato l’europarlamentare sui social.
“Eprimo la mia soddisfazione per questa vicenda: non solo per questioni personali, ma anche perché la decisione del Tribunale di Bergamo conferma che il razzismo si può e si deve combattere per vie legali, oltre che civili, civiche e politiche” ha concluso la Kyenge su Facebook. “un grande riconoscimento per i pm che avviarono le indagini, dimostrando che lo spazio pubblico non può diventare un terreno di incitamento all’odio razziale. È un grande insegnamento per tutti quelli che hanno avuto e che hanno a che fare con pratiche discriminatorie: il razzismo va condannato ovunque si mostra!”.
Nello specifico, Calderoli era accusato di aver utilizzato l’appellativo “orango” nei confronti dell’allora ministro. Una parola che il diretto interessato non ha negato di aver usato, chiarendo però (pur a fatica) le circostanze: “Non ricordo parola per parola quanto ho detto, ma il mio intento era la critica politica al governo Letta, anche per un certo divertimento delle persone presenti, con toni leggeri”.
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“Dalle trascrizioni – aveva spiegato Calderoli parlando dell’episodio – vedo che non ho mai usato la parola ‘orango’, bensì ‘oranghi’, riferendomi a tutto il governo. Intendevo dire che si muovevano come elefanti in una cristalleria: se avessi usato quest’altro paragone, oggi non saremmo in quest’aula”. L’accusa non si era però detta d’accordo.
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