Un nome, Orizzonti Selvaggi, che è la definizione di un futuro difficile ma da affrontare a testa alta, senza paura per la sfida davanti a noi. Carlo Calenda ha scelto il Teatro Caffeina di Viterbo per presentare il suo nuovo libro, ospite del direttore artistico Filippo Rossi, e parlare di un Occidente “a pezzi come non lo era stato da cent’anni a questa parte, dopo che sembrava avesse vinto tutto nel 1989. Ci dicevano che il mondo era diventato piatto, che gli stati sarebbero dovuti scomparire in funzione di una governance globale e che tutti saremmo dovuti diventare più ricchi. Siamo oggi ad una situazione esattamente opposta”.
L’ex ministro dello Sviluppo Economico parla degli errori commessi nel dare fiducia illimitata a un mercato che si credeva generasse da solo crescita, di una tecnologia definita sempre e comunque positiva dai progressisti e però pericolosa (“siamo proprio sicuri che i nuovi lavori saranno innovativi e stimolanti?”). E soprattutto della paura dei cittadini, quelli ai quali oggi un partito come il Pd non è in grado di parlare : “Dovremmo dire che ciò che è di mercato non è sempre giusto, che non possiamo prendere il mercato come dogma religioso. Dovremmo dire che se la tecnologia è potente deve essere potente anche l’uomo”.
Negli ultimi mesi Calenda ha legato il suo nome a quello del Partito Democratico. Con alterne fortune: “Il Pd deve presentarsi con una lista aperta che comprenda le intelligenze migliori, dal sindacato alla società civile. Se succede questo io sarò in prima linea candidandomi alle europee. Se invece il Pd diventa il luogo del conflitto permanente e della zuffa congressuale la cosa non avrebbe più senso e lo considererei un errore disastroso”.
“Io – ha spiegato Calenda – non sono candidato alla leadership di nulla perché secondo me Paolo Gentiloni è più bravo di me, l’ho detto più volte. Lui sarebbe dovuto scendere in campo in prima persona per fermare questo indecente putiferio: per questo ha secondo me sbagliato a dare un sostegno così esplicito a Zingaretti. Io credo che i problemi del Pd finirebbero in un quarto d’ora se Renzi e Gentiloni si mettessero seduti a un tavolo per risolvere i loro conflitti. Mi rifiuterei invece di continuare a stare in un partito che sia la resa dei conti continua fra renziani e antirenziani”.
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