Carlo Calenda sembra sempre più la scheggia impazzita del Pd che preoccupa i competitor alle primarie (Zingaretti, Richetti, etc., etc.) ma che convince una larga parte dell’elettorato. Continua a testa bassa la sua battaglia e rilancia. Intanto ha detto che non andrà alla Leopolda di Renzi, giunta alla sua nona edizione. L’ex ministro spiega: “L’unica cosa a cui sono interessati nel Pd è capire come si svolgerà un congresso che non è ancora convocato, così ogni lettura di quanto avviene dentro e fuori il Paese è vincolata al posizionamento in vista dell’incontro”.
Ne consegue “l’assenza della costruzione di una proposta e della gestione strutturata dell’opposizione”. Col risultato che il Pd è diviso fra “chi aspetta il terzo avvento di Renzi e chi la crisi di governo per fare una alleanza con il Movimento 5 Stelle”. Due cose che, a questo punto è scontato, gli paiono “strategie perdenti”.
Ciò che Calenda ha in testa è un’altra idea, vuole “creare con liberali, liberaldemocratici, socialdemocratici e cattolici popolari, un grande fronte che non sia solo ‘contro’, ma che abbia il preciso scopo rifondativo della democrazia liberale, secondo principi di maggiore equità che riportino anche la forza dello Stato nella sua dimensione nazionale e internazionale”. Calenda definisce questa possibile formazione “Fronte Repubblicano” nel libro “Orizzonti Selvaggi” (Feltrinelli).
Anche se già immagina che il nome del nuovo contenitore politico sarà diverso. Ma è convinto che si farà “al 99,9%”. E spiega: “Nelle conversazioni private non si trova un singolo dirigente del Pd che non riconosca come l’unica possibilità che abbiamo sia quella di presentare alle europee una lista che non si chiami Pd e che raccolga le forze di cui parlavo poco fa”. Poi su Twitter cinguetta: “Ottima intervista di Veltroni nel senso della costruzione di un lista unica progressista (Fronte Repubblicano) alle Europee. Mi pare che l’idea inizi a fare breccia. Ma occorre muoversi, il tempo e’ poco e non possiamo aspettare un congresso ancora senza data”.
Uno scatenato Carlo Calenda che racconta anche della famosa “cena a quattro”. “La volevo organizzare con lo scopo di creare un luogo, che il partito in questo momento non ha, dove parlarsi. Doveva tenersi il 26 e la chattai su whatsapp. Non avevo invitato Zingaretti, un errore, e lui, subito disse che ne faceva una con un imprenditore, un insegnante e altri commensali simbolo. Ma cosa c’entrava? Il giorno dopo, come da tempo ormai accade per ogni cosa del Pd, iniziarono i retroscena giornalistici con Renzi che diceva che forse non avrebbe partecipato, che forse mandava un delegato”.
E , torrenziale, prosegue: «Lo chiamai e gli dissi ‘Matteo abbiamo scherzato, si fa nulla’. Ecco, il retroscena su tutto ciò che si diceva e faceva nel Pd ci ha ucciso. Eppure, a proposito della cena, nel Pd non esiste un luogo dove parlarci. Non so a chi dire le cose che vanno dette. Non esiste organizzazione umana dove i suoi più importanti rappresentanti non si incontrano mai. Per dire, io per tre mesi non ho sentito il segretario Martina. Persino quando è andato a Taranto per l’Ilva non ha sentito il bisogno di farmi una telefonata”.
Il Pd oggi è un partito “dove, da quando mi sono iscritto, tutti i dirigenti con cui ho parlato mi hanno detto di fare un mio partito per poi allearmi con il Pd: ma dove esiste una cosa così? Che se poi lo facessi, quei tre voti dove credete che li andrei a prendere?”. Calenda non ha dubbi: “Cosa fare? Subito un governo ombra per incalzare quello gialloverde, così cade il cazzeggio al quale assistiamo tutti i giorni”.
“Poi farei una Segreteria allargata costituente con tutti, da Renzi a Gentiloni in modo che quando si parla si parla davanti agli organi di partito o si tace; poi farei un congresso rapidissimo, direi istantaneo, con mozioni congressuali di sostanza; il mattino dopo l’elezione il segretario dovrebbe lavorare alla creazione di un grande fronte che metta insieme il movimento progressista e pezzi del mondo liberale conservatore e affrontare con questo schema le Europee”.