Tre ministri dimissionari nel giro di due ore, un caos che sta minando la solidità del governo inglese e sul quale si concentrano le attenzioni del mondo intero. Ma cosa sta succedendo, di preciso, al di là della Manica? L’effetto domino, che potrebbe non essersi ancora esaurito, è iniziato con l’annuncio fatto dal primo ministro Theresa May su un accordo raggiunto per Brexit dopo una lunga serie di negoziati con l’Unione Europea. Un’intesa non andata giù per niente ai conservatori britannici, che hanno parlato di successo per Bruxelles.
Nel giro di poche ore ecco allora arrivare subito le conseguenze, pesanti: a dimettersi sono stati nell’ordine Dominic Raab, ministro per Brexit, Esther McVey, ministra per il Lavoro e le Pensioni, e Sualla Braverman, sottosegretaria per Brexit. A loro si è poi aggiunta anche la deputata Anne-Marie Trevelyan. La May ha difeso l’accordo, sintetizzato in un maxi documento di oltre 60 pagine (votato non all’unanimità, secondo il Telegraph), sostenendo che le alternative erano rinunciare all’uscita dall’Europa o andare allo scontro, idea che spaventava la gran parte dei partiti inglesi.
Tra i punti più controversi dell’accordo, la regolamentazione del passaggio merci e persone tra la Repubblica d’Irlanda, ancora nell’Unione, e l’Irlanda del Nord, che invece insieme al resto della Gran Bretagna ha scelto di fare un passo indietro. Un confine dove transitano regolarmente migliaia di persone e che però, nel momento in cui si trasformerà in tratto divisorio tra chi è fuori e dentro l’Unione, andrà regolato con controlli e soprattutto dazi. La soluzione trovata è quella di una temporanea permanenza di tutto il Regno Unito nell’Ue, mantenendo un confine senza barriere in attesa di ulteriori accordi.
Soluzione che non è piaciuta a una parte del parlamento inglese, che come spiega il Sun usa espressamente il termine “patchwork” per indicare un compromesso deludente nei termini e destinato a fallire all’atto pratico. Tra gli altri passaggi del documento, confermati gli impegni sulla tutela dei diritti dei cittadini ‘”spiti”, sul conto di divorzio britannico da 39 miliardi di sterline, su una fase di transizione improntata allo status quo di (almeno) 21 mesi.
E ora? La partita è ancora lunga ma il premier May dovrà concentrarsi innanzitutto sul rischio di implosione della propria maggioranza. La conta inizia a farsi preoccupante dopo gli ultimi sviluppi e non è detto che, in caso venga formalizzata una mozione di sfiducia nei suoi confronti come paventato dalle opposizioni, i numeri siano sufficienti a proteggerla.
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