Forse non tutti ricordano la tragica storia di Carolina Picchio, la ragazzina che è stata la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo e che si è tolta la vita sotto il peso delle ingiurie, della viralità delle immagini e della insensibilità delle persone. Sul Sole 24 Ore, Paolo Picchio, il papà, torna a raccontare quanto accaduto, per far sì che non succeda mai più e per dire che lui sarà sempre dalla parte di tutti quelli che sono vittime di bullismo e cyberbullismo. Quando succede il dramma, Carolina ha solo 14 anni. Durante una festa beve troppo e perde conoscenza. “Un gruppetto di ragazzi l’accerchia nel bagno, simulando atti sessuali su di lei, sempre più espliciti. Mentre la molestano, filmano la scena e le immagini finiscono su Internet. Nel momento in cui il video diventa virale, per Carolina inizia l’incubo: insulti e minacce, molti provenienti da persone che neanche conosce”, scrive il papà.
“Lei, l’amica di tutti, sempre sorridente ed entusiasta, si trova al centro di un’attenzione morbosa. Un peso insostenibile da sopportare, quelle ingiurie e quei commenti impronunciabili mettono in dubbio la sua reputazione. Il dolore e la sofferenza, tutt’altro che virtuali, diventano insopportabili. Prima di togliersi la vita, Carolina scrive poche righe, nelle quali trova la forza di denunciare l’accaduto: ‘Le parole fanno più male delle botte. Ma a voi non fanno male? Siete così insensibili?’. Era il gennaio del 2013. Mi capita ancora di svegliarmi pensando di doverla accompagnare a lezione di tennis, a pattinaggio, oppure in montagna per inforcare gli sci insieme e bere cioccolata calda”.
“Ho passato mesi senza avere nemmeno la forza di parlare. Poi mi sono detto che Carolina non poteva restare un trafiletto di cronaca che si legge e si dimentica. Così ho deciso di combattere per lei e per le Caroline che non conosco. Ho fatto mia la battaglia di mia figlia, iniziata con quelle poche righe, che oggi sono un manifesto contro ogni forma di bullismo. Una sfida lanciata al mondo, soprattutto a quello della rete. Nel nome di Carolina si è celebrato il primo processo in Europa sul cyberbullismo, nel quale si è riconosciuto con fermezza che il cyberbullismo, nella sua forma più crudele, non può essere derubricato a semplice ragazzata perché ‘le parole fanno più male delle botte'”.
“Il 17 maggio 2017 ero in aula mentre la Camera approvava la prima legge a tutela dei minori in materia di cyberbullismo, che la presidente Laura Boldrini dedicava a Carolina: se in Italia abbiamo una legge per la prevenzione e il contrasto di questo fenomeno è anche grazie a lei. Non potevo raccogliere questa eredità da solo, per questo ho scelto di istituire la Fondazione Carolina Onlus, con l’aiuto di donatori, esperti e amici che ringrazio ancora di cuore, per aver contribuito a dare un senso alla mia vita quando la speranza e la gioia sembravano essere fuggite dal mio mondo. Coltivando questa missione ho riscoperto il calore degli abbracci”.
“Prima ero io che li cercavo nei ragazzi che incontravo. Oggi sono loro che li chiedono a me, che mi stringono chiamandomi ‘papà Picchio’, raccontandomi la loro sofferenza o sussurrandomi all’orecchio quanto Carolina fosse bella. Sono solo un papà ma ogni giorno sono sul campo per aiutare i giovani a rispettarsi tra loro, non solo online, ma anche a scuola, nei contesti sportivi, negli oratori. Dialogo anche con i bulli, che troppo spesso non sanno quello che stanno combinando. Confido che la storia di mia figlia possa aiutarli a comprendere il disvalore di quello che fanno”.
“Ecco, mia figlia, con la sua storia, con la sua vita ha squarciato un velo di omertà e ipocrisia, invitando tutti ad interrogarci e a ritrovare quel senso del limite, dell’etica e dell’empatia fondamentale in ogni relazione umana. Questa è la forza di mia figlia. Oggi purtroppo i suoi occhi sono chiusi, ma li ha fatti aprire a tutti noi”.
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