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Case Green, l’Italia ha 2 anni per adeguarsi alle direttive Ue

Ci sono solo due anni di tempo per adeguarsi alla normativa europea sulle case green. Corsa contro il tempo per l’Italia. È vero, però, che il testo approvato lascia un ampio margine di discrezionalità ai Paesi membri su come raggiungere gli obiettivi. E poi il testo licenziato dalla maggioranza di governo a Bruxelles lascia intendere un approccio morbido. Ma l’obiettivo è sancito e l’Italia dovrà agire.
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Le prescrizioni Ue

Sono possibili conseguenze serie sul mercato e nelle tasche dei proprietari di casa italiani. Anzitutto, non è previsto nessun divieto di vendita o locazione delle abitazioni ad alto consumo. ma è anche vero che nel mercato delle auto non c’è nessun divieto di vendere i diesel Euro 4. Semplicemente, non si trova chi li compra.

Le prescrizioni per gli immobili residenziali sono tre.
1) Entro il 2030 gli edifici nuovi dovranno essere a zero emissioni. Questo comporterà presumibilmente un aumento dei listini in cantiere.
2) Il 15% degli edifici andrà ristrutturato in tempi relativamente brevi e dando la priorità al patrimonio con le peggiori prestazioni.
3) I consumi di energia dovranno ridursi del 16% entro il 2030 e tra il 20 e il 22% entro il 2035.

La situazione italiana

L’applicazione delle prescrizioni, specie del secondo e terzo punto, sono molto complicate e rischiano di avere conseguenze molto pesanti. In Italia circa il 70% degli immobili appartiene alle ultime tre classi energetiche, le peggiori. Dunque, bisognerà impegnarsi per recuperarli. Per una prima fase si dovrà recuperare il15% del totale, quindi mettere a posto anche classi superiori, per un totale di 1,8 milioni di edifici per poi adeguarne ancora alcuni milioni.

L’obiettivo finale, ad oggi piuttosto velleitario, che appare più che altro una nobile dichiarazione di intenti molto difficilmente raggiungibili, sarebbe quello di avere zero emissioni dagli immobili entro il 2050. In Italia questo è catastrofico. Consideriamo un altro dato: il Superbonus ha coinvolto meno di mezzo milione di edifici, solo residenziali, ed ha comportato investimenti (in grandissima parte dello Stato) per 120 miliardi di euro.

Fondi insufficienti

A questi si aggiungono gli interventi che andranno effettuati sugli edifici non residenziali e quelli pubblici. Questo rappresenta un problema di capacità industriale del sistema delle costruzioni e dell’impiantistica. In questo momento non è chiaro né come saranno selezionati gli edifici su cui intervenire prioritariamente né soprattutto se ci sarà qualche forma di obbligo.

Inoltre: come costringere i proprietari di casa a effettuare un’onerosa riqualificazione del loro immobile senza un contributo integrale o quasi delle casse pubbliche? La Ue ha stanziato 152 miliardi di fondi, che potranno anche passare attraverso cessione del credito e sconto in fattura, ma alla fine della ripartizione con gli altri stati membri rimarranno forse un paio di decine di miliardi, del tutto insufficienti.

Lo scenario peggiore

Dopo la vicenda del Superbonus e lo scandalo del buco finanziario provocato nelle casse pubbliche, è molto improbabile che arriveranno risorse di entità significativa dalle casse italiane. Due le soluzioni possibili. Una è quella di legare gli incentivi al reddito del proprietario di casa. A parte la soglia di reddito molto bassa (15 mila euro equivalenti) sono misure che hanno senso per i lavori all’interno di unità immobiliari, ma non sono assolutamente proponibili in condominio.

L’altra è far pagare gli interventi alle «Esco» (Energy Service Company) che effettuano i lavori tenendosi per un certo numero di anni i risparmi effettuati sulle bollette. Bisogna però che ci siano condomini disponibili a sobbarcarsi i disagi di un cantiere senza nessuna contropartita immediata.

Da tutto questo deriva lo scenario peggiore: di lavori se ne faranno ben pochi. E per il timore che vengano resi obbligatori in maniera onerosa il mercato dell’usato si bloccherà.

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