Nei licenziamenti del pubblico impiego vale ancora l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e non la disciplina successivamente entrata in vigore con la legge Fornero. Tano meno quella introdotta dal Jobs Act. A confermarlo la Cassazione in seguito a quella che viene definita come ‹‹una approfondita e condivisa riflessione››.
In questo modo viene confermata l’esistenza di una doppia corsia tra lavoro pubblico e privato anche sul fronte dei licenziamenti. Inizialmente la riforma Fornero del lavoro aveva ridotto l’applicazione dell’articolo 18, prevedendo che il lavoratore venisse reintegrato solo in caso di licenziamento illegittimo. E con il Jobs Act intervenuto pochi anni dopo, si è sostanzialmente stabilito che il reintegro debba tutt’oggi essere imposto solo in caso di licenziamento discriminatorio, sostituendolo negli altri casi con un indennizzo economico.
Ma la decisione di far valere per i lavoratori pubblici una condizione tutto sommato migliore in fatto di licenziamenti, non trova spaesato il governo dato che, come più volte ha chiarito il ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, in realtà né la Fornero e né il Jobs Act hanno mai voluto cambiare le norme sui licenziamenti nel pubblico impiego. Il motivo? Perchè tra pubblico e privato ad essere diverso è il datore di lavoro, e perché nel pubblico si entra solo tramite concorso.
Per sanare queste ambiguità, o meglio, questa doppia legislazione, c’è quindi bisogno di una precisazione scritta su carta. Cosa che dovrebbe arrivare con una modifica al testo unico del pubblico impiego in via di emanazione con l’attuazione della riforma della pubblica amministrazione.
Matteo D’Apolito