Secondo lo studio più recente della Cgia di Mestre, il Pnrr non inciderà sul Pil. Il Recovery fund per l’Italia prevede 235,6 miliardi di euro. Per la precisione, 191,5 riconducibili al Recovery, 30,6 a un fondo complementare e gli altri 13,5 miliardi di euro al React-eu. Più di un quarto di essi (52,6 miliardi) devono essere impiegati per progetti già in corso. Sulla base di questi numeri, anche se tutto dovesse procedere senza intoppi, la Cgia sottolinea che questo afflusso di miliardi non inciderà più del 3,6% sul Pil entro il 2026. Ecco perché.
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Disastro Pnrr, ecco perché non inciderà sul Pil
Entro il 2026, anno della fine delle azioni del Pnrr sull’economia italiana, la crescita del Pil non supererà i 3,6 punti percentuali. Questo a patto che si mantengano tutti gli impegni presi con l’Europa. Il dibattito di questi giorni mette in dubbio anche questa ipotesi. La Confederazione generale italiana dell’Artigianato non è molto ottimista. Il 3,6% del Pil si raggiungerebbe solo se tutto andrà in porto con grande efficienza.
Uno scenario meno ottimale porterebbe il Pil del 2026 in una forbice risibile tra il 2,7 e l’1,8. Lo studio analizza, comunque, solo lo scenario migliore. A fronte di 183 miliardi di investimenti, nel 2026 si dovrebbe verificare un aumento strutturale del Pil di circa 70 miliardi, determinando un moltiplicatore del Pil pari a 1,2.
Cgia di Mestre, l’impatto del Pnrr sulle opere pubbliche
Il commento allo studio è desolante, ed ecco perché il Pnrr non inciderà sul Pil. “Un risultato non particolarmente esaltante”. Soprattutto “se si tiene conto che, secondo uno studio della Banca d’Italia, la realizzazione delle opere pubbliche può avere ripercussioni importanti sulla crescita economica di un paese se il moltiplicatore della spesa pubblica per investimenti è compreso tra l’1 e il 2. È vero che l’1,2 per cento previsto dal Governo Draghi nel Pnrr ricadrebbe nella forchetta indicata dalla Banca d’Italia. Ma è altrettanto vero che raggiungeremo questo obbiettivo solo se tutto andrà per il verso giusto“. E proprio il dibattito delle ultime settimane mette in dubbio questa possibilità. Questo per via della “cronica inefficienza che caratterizza buona parte della nostra Pubblica Amministrazione, la mole di burocrazia che attanaglia il paese, l’incapacità storica, come dicevamo più sopra, di spendere tutti i fondi europei”.
La confederazione degli artigiani conclude con una nota amara. “Va ricordato che l’Italia non desta una elevata affidabilità in materia di previsioni macro economiche. I dati dell’European Fiscal Board (organo consultivo indipendente della Commissione Europea, ndr) sono impietosi: tra il 2013 e il 2019 siamo il Paese che ha ‘sbagliato’ di più. Un’altra ragione per dubitare che saremo in grado di raggiungere la crescita del Pil del 3,6 per cento e, conseguentemente, disporre di un moltiplicatore dell’1,2″.
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