
Nadia Cassini ci ha lasciato, portando via con sé un pezzo del cinema italiano che sapeva intrecciare ironia e seduzione con una maestria ormai lontana. La sua esuberanza, mostrata con disinvoltura, rappresentava un’epoca in cui la leggerezza non era temuta ma celava significati più profondi dietro apparente superficialità.
Oggi, rivedendo le sue interpretazioni, si riscopre quella purezza smarrita, un’Italia che ironizzava sulle proprie manie senza censure morali. Nadia era un’icona, eppure appariva quasi distaccata, come se fosse entrata in quel mondo per caso. Figlia di un militare tedesco e di una madre italiana, nata negli Stati Uniti, aveva introdotto nel nostro cinema un tocco di eleganza esotica e allo stesso tempo sfacciata, un’aura di celebrità internazionale intrappolata nei limiti di un genere che non riusciva a comprenderla appieno.
Il suo fascino non si fermava al suo aspetto impeccabile. Era una presenza enigmatica, una bellezza inusuale in un contesto cinematografico che la relegava a ruoli stereotipati, senza percepire l’amarezza che si celava dietro il suo sorriso. Probabilmente consapevole di questo, decise ad un certo punto di abbandonare quel mondo, lasciandoci il rimorso per quello che avrebbe potuto diventare. Restano i suoi film, testimonianze di un’Italia svanita, e il ricordo di una donna che, anche nelle scene più leggere e provocanti, dava l’impressione di voler spiccare il volo.