Ancora una giornata di protesta, l’ennesima, nel quarto sabato consecutivo in cui i gilet gialli francesi scendono in piazza. Tensione altissima in tutto il Paese, con oltre 30 persone già messe in stato di fermo a Parigi e le forze dell’ordine impegnate in controlli serrati. La capitale è presidiata da oltre 8mila agenti in assetto antisommossa, a conferma di timori talmente elevati da spingere l’ala più moderata dello stesso movimento di protesta a predicare la calma, invitando i manifestanti a fare un passo indietro e restare a casa.
Ma chi sono, davvero, questi ormai famosissimi gilet gialli che stanno tenendo in scacco la Francia, con bilanci da guerriglia che parlano di 3 morti, 1000 feriti e quasi 1500 arresti? Ufficialmente, il movimento prende vita per protestare contro il rincaro sui carburanti (0,76 euro per il gasolio, 0,39 per la benzina). Ma in realtà dietro quelle persone in strada, a volto coperto, ci sono problematiche profonde che nascono e si sviluppano nella campagne, con i piccoli centri a fare la parte dei leoni nelle giornate iniziali di manifestazione.
Secondo le statistiche diffuse dall’Institut d’Etudes Marketing et Opinion, il movimento è appoggiato dal 62% degli operai e dal 56% dei disoccupati. Tanti anche i pensionati, pochi i professionisti. Le fasce meno agiate di una società transalpina piena di contraddizioni, con le difficoltà economiche degli ultimi anni che hanno acuito i contrasti tra i grandi centri e zone periferiche o di vera e propria campagna. Ogni anno, oltre 100mila francesi sono costretti a tornare a vivere nei cosiddetti “village”, zone dove il costo della vita inferiore. Pendolari che ogni giorno coprono lunghe distanze e che quindi sono i più colpiti dall’aumento del carburante.
Fuggiti dalle metropoli, delle quali ricordano però bene il tenore, si sono così ritrovati a vivere in zone dove i servizi sociali sono notevolmente peggiori rispetto alle grandi città. Il costo crescente della benzina è stato l’elemento chiave per far esplodere tutta la loro rabbia. Tanti e di ogni tipo le richieste avanzate dai gilet gialli: l’eliminazione del crescente fenomeno dei senzatetto e la lotta alla povertà, una maggiore progressività nelle imposte sul reddito al salario minimo di 1.300 euro netti, la promozione di piccole imprese nei villaggi e nei centri urbani, il “no” a nuove grandi aree commerciali, un nuovo sistema di pensioni.
La protesta ha segnato un po’ tutto il territorio francese. Non solo con gli ormai noti scontri, che hanno provocato un bilancio pesante. Ma anche con tante espressioni “più silenziose”, come i blocchi lungo le strade per rallentare il traffico e convincere gli automobilisti a firmare le petizioni del movimento. Sempre secondo le statistiche degli istituti di ricerca francesi, il 72% della popolazione è d’accordo con le proteste, pur non avendo aderito attivamente.
Tanti i politici che stanno cercando di salire sul carro, facendo propria la rabbia della popolazione in strada. Ad appoggiare il movimento sono stati subito Marine Le Pen, dell’ex Front National oggi Rassemblement national, e Jean-Luc Mélenchon, già fondatore del Partito di Sinistra e candidato nel 2017 con France Insoumise. Un ruolo chiave, anche attivamente, lo sta però giocando Djordje Kuzmanovic, ex volto noto dello stesso partito populista di sinistra dal quale è uscito perché considerava “troppo morbidi” i colleghi.
Autostrade bloccate, proteste in strada: la rivolta dei “gilet gialli” spaventa la Francia, chi sono (e cosa vogliono)