Un aereo che può salvarti la vita. E’ quello che è successo a Jesus Jaime Mba Obono, l’informatico originario della Guinea Equatoriale e con nazionalità italiana, che è stato per giorni ricoverato in un ospedale africano in condizioni critiche, dopo avere contratto il coronavirus. Grazie al grande coraggio della moglie Chiara e ad un aereo militare messo a disposizione dal governo italiano, l’uomo è riuscito a rimpatriare a Palermo nella speranza di riuscire ad avere cure più adeguate alla sua condizione. Il Covid lo ha attaccato mentre si trovava in Guinea Equatoriale, a casa dei suoi genitori e dei tre fratelli, in un viaggio per riabbracciare la sua famiglia d’origine. Era arrivato lì lo scorso 9 gennaio in vacanza, a marzo doveva tornare a Palermo dove vive da anni con la moglie e il figlio Ricardo, di 5 anni e mezzo. Ma la pandemia ha bloccato anche il suo aereo. E così Jaime è rimasto in Africa e purtroppo, lì, è stato contagiato. Ad oggi le sue condizioni sono gravi, ma forse, sarebbe andata peggio se quell’aereo di Stato non lo avesse mai riportato in Italia.
Dietro questo grande salvataggio, c’è la forza della moglie Chiara Beninati: “Non so come finirà, ma Jaime è qui e io dovevo fare di tutto per non lasciarlo in Africa”, ha raccontato a
Repubblica la donna. Dal 28 aprile e fino a qualche giorno fa, Chiara è riuscita, telefonata dopo telefonata, lettera dopo lettera, a sfondare “il muro dell’indifferenza sul caso del marito”. Il 20 aprile è la data in cui Jaime è rimasto contagiato. Il virus si è fatto largo nel suo corpo in modo devastante. “Non gli era stato diagnosticato il coronavirus ma la salmonellosi, e seguiva una terapia. Non mi sentivo sicura, c’era qualcosa che non quadrava. Un giorno stava meglio, un altro peggiorava. Febbre, stanchezza, la terapia che non funzionava”, ha spiegato la moglie, infermiera in una clinica.
“Il 27 aprile non ce la faceva più ed è finito in ospedale. È stato messo in isolamento con l’ossigeno. Ma in 48 ore la situazione è precipitata. È il primo caso di terapia intensiva lì in Guinea Equatoriale. Ha inaugurato lui il reparto, purtroppo”. Il virus ha aggredito reni e polmoni, in Guinea c’era poco da fare. “Non avevano disponibile il macchinario per la dialisi. Significava perdere Jaime, ma io rivolevo mio marito vivo”, ha ricostruito la donna. “Quegli oltre seimila chilometri di distanza mi sono sembrati un’infinità. L’irruenza del virus mi ha messo addosso la paura – ha affermato Chiara -. Avevo vissuto per dieci anni in Guinea Equatoriale e so come è la sanità lì. Ho cominciato a pensare come poter agire”.
Cosi Chiara ha subito informato l’ambasciata italiana in Camerun, che cura anche le relazioni diplomatiche con la Guinea, e da lì è iniziata la sua battaglia per riavere in Italia il marito. “Ma la mia non era l’unica richiesta di rimpatrio per motivi di salute. Eravamo almeno in cento”, spiega. Da più amici l’idea di una soluzione alternativa: se non arrivava l’aiuto dallo Stato, Chiara doveva contare sul cuore dei benefattori per mettere insieme 104mila euro e pagare un aereo privato. “E l’ho fatto. Ho aperto un canale di donazioni con Gofundme. Ci credevo poco. Invece tutti sono diventati paladini della mia causa”, ha raccontato con orgoglio. In pochi giorni è stata raggiunta la cifra per il volo privato. Un miracolo.
Così giovedì scorso, è atterrato a Punta Raisi il volo di Stato che ha riportato il marito di Chiara in Italia. Le condizioni dell’uomo però sono critiche, ma la donna non perde la speranza: “Ricardo sa che il papà si sta curando. All’alba di tre giorni fa sono arrivata in aeroporto, un luogo simbolo per me e Jaime. Ho visto scendere la sua barella e mi sono detta: “Ce l’ho fatta. Ti ho portato a casa”. Appena sarà fuori pericolo, gli mancherà il respiro per il mio abbraccio”.
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