Cosa ingeriamo realmente quando mangiamo? Non si tratta solo del cibo che pensiamo di avere nel piatto, ma purtroppo anche di molte altre sostanze, tra cui, soprattutto, plastica. Infatti, quasi tutto ciò che finisce sulle nostre tavole è avvolto o è entrato in contatto con la plastica, che, come evidenziato da numerosi studi, rilascia microparticelle – le microplastiche – che poi vengono assimilate dal nostro corpo.
Dagli imballaggi alle bottiglie, passando per bustine e pellicole, anche la plastica destinata all’uso alimentare può trasferire negli alimenti e nelle bevande una vasta gamma di sostanze chimiche, conosciute come food contact chemicals (Fcc). Un recente studio pubblicato sul Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology, citato da Today, ha identificato oltre 3.600 di queste sostanze in campioni biologici umani. La ricerca, condotta dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo, ha rilevato che nessun tessuto del corpo umano è immune da queste contaminazioni. Tracce di sostanze chimiche legate alla plastica sono state trovate nel sangue, nelle urine, ma anche nel latte materno, nel sudore e addirittura nella placenta. Gli autori dello studio avvertono che molte sostanze potenzialmente pericolose non vengono adeguatamente monitorate, e quindi è necessario rafforzare i sistemi di controllo.
“La nostra ricerca ha stabilito un legame tra i food contact chemicals, l’esposizione a queste sostanze e la salute umana”, afferma Birgit Geueke, uno degli autori. Tra i 194 Fcc identificati dai programmi di biomonitoraggio, 80 sono considerati altamente rischiosi per la salute, tra cui alcune sostanze cancerogene note come formaldeide, cadmio, stirene e benzofenone. Alcune di queste sostanze derivanti dalle plastiche possono avere effetti negativi sulla fertilità, mentre per altre non si dispone ancora di sufficienti dati sugli impatti sulla salute. Jane Muncke, coautrice della ricerca, mette in guardia: “I materiali che entrano in contatto con il cibo non sono completamente sicuri, nemmeno quando rispettano le normative, perché rilasciano sostanze chimiche nocive nell’organismo dei consumatori.
Speriamo che queste nuove evidenze siano utilizzate per migliorare la sicurezza dei materiali a contatto con gli alimenti, sia dal punto di vista regolamentare che nello sviluppo di alternative più sicure”.