In pochi sono a conoscenza di come funzioni. Ma ora, grazie a un post pubblico su Facebook di una ragazza di nome Marta, la questione è arrivata agli onori della cronaca e del dibattito. Giustamente. L’assurda vicenda le è capitata dopo essersi sottoposta un’interruzione terapeutica di gravidanza: il suo feto è stato sepolto nel cimitero Flaminio di Roma con una croce su cui è stato iscritto il suo nome, nonostante avesse precisato di non volere le esequie né la sepoltura. “Nel momento in cui firmai tutti i fogli relativi alla mia interruzione terapeutica di gravidanza, mi chiesero: ‘Vuole procedere lei con esequie e sepoltura?’. Risposi che non volevo procedere. Dopo circa sette mesi ritirai il referto istologico, e pensando ai vari articoli sulle assurdità su sepolture di prodotti del concepimento, ebbi un dubbio. Decisi di chiamare la struttura nella quale avevo abortito e di contattare la camera mortuaria”, racconta Marta sui social.
Dopo aver fornito i suoi dati ha scoperto che il feto stava per essere sepolto anche senza la sua autorizzazione. “Mi dissero al telefono: ‘Stia tranquilla anche se lei non ha firmato per la sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza: avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome’”, racconta la donna. E sulla croce c’era proprio il suo di nome, essendo il figlio ‘nato morto e dunque mai registrato’. “È tutto scandalosamente assurdo, la mia privacy è stata violata. Il campo in questione del cimitero Flaminio di Roma è pieno di croci con nomi e cognomi femminili”.
Un post struggente al quale Marta ha allegato la foto della croce con il suo nome e la data dell’interruzione di gravidanza. “Ogni donna ha il diritto di scegliere se e come portare avanti una gravidanza. E ogni donna che abortisce, a prescindere dalla ragione per cui lo fa, deve avere il diritto di decidere il destino del feto. C’è chi sceglie, liberamente, di seppellirlo”, ha commentato su Facebook la senatrice Pd Monica Cirinnà.
“Ed è una decisione che va rispettata. Ma non può essere una procedura automatica e imposta a tutte, senza comunicazione, senza richiesta, senza consenso. Perché questa diventa violenza. E vedere il proprio nome stampato sulla croce di un feto è una evidente violazione della privacy. Come a dire a tutti: “La signora ha abortito”, conclude la Cirinnà. Una storia che ha adesso dovrà necessariamente portare al cambio delle procedure.
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