Circular economy, una necessità assoluta per tutti gli stati
Il modello economico dell’Europa sta cambiando orientandosi sempre di più verso la “Circular Economy”, con la quale si cerca di ridurre al minimo l’utilizzo delle risorse naturali disponibili, ed anche la produzione di rifiuti.
Partendo dai dati sulla popolazione mondiale, che durante il secolo scorso ha visto il suo numero aumentare di 4 volte, e da quelli sul consumo di materie prime, che negli stessi anni è aumentato di 10 volte, alla luce anche delle previsioni per i prossimi anni, con la stima di un ulteriore raddoppio entro il 2030, è chiaro che sono necessarie delle modifiche.
La domanda mondiale di materie prime è in aumento a fronte di una disponibilità limitata e, inoltre, si stanno registrando impatti ambientali e costi in crescita per lo smaltimento rifiuti per cui le azioni da intraprendere, ed in parte già intraprese, sono volte alla realizzazione di prodotti di maggiore durata, e maggiormente riciclabili.
Un segnale di cambiamento importante è dato dalla prossima approvazione, che dovrebbe avvenire entro la fine del 2017, della “Direttiva europea sui rifiuti e la circular economy”.
Leggi anche: Gig economy, come fare soldi con i lavoretti
Le riforme in Italia
Il nostro paese ha già realizzato cambiamenti abbastanza radicali riguardo alla gestione dei rifiuti, dopo la riforma contenuta nel D.L. 22 del 1997, che aveva recepito le indicazioni delle direttive europee. Prima dell’entrata in vigore di quelle norme andavano dritti in discarica l’80% dei rifiuti prodotti e quello che veniva riciclato, oppure portato alla raccolta differenziata, era una percentuale minima.
Oggi invece, la percentuale di raccolta differenziata è salita al 47,6% e quella degli imballaggi ad un valore ancora maggiore, il 67%, con un conferimento di rifiuti in discarica drasticamente ridotto al 26%, e con un riciclo che interessa 14 milioni di tonnellate, con circa 5mila aziende interessate da questa attività, che danno lavoro a 120mila persone. Una attività che crea un fatturato ormai superiore a decine di miliardi di euro.
Sulla base di questi dati si può quindi affermare che il nostro Paese, che è uno tra i maggiori importatori di materie prime, può attuare al meglio la nuova Direttiva in arrivo, in modo da dare ancora maggiore slancio alla “green economy”.
Leggi anche: Green economy, l’Italia si pone con decisione nel gruppo di testa dei Paesi europei
Circular Economy, le prossime mosse
A poca distanza dalla entrata in vigore della nuova direttiva, anche l’Italia deve superare la fase dei dibattiti generici ed iniziare la preparazione sia delle “politiche” che delle misure necessarie per combattere questa sfida, basandosi proprio sugli obiettivi che vengono definiti a livello UE.
La Circular Economy non è soltanto una normativa che riguarda i rifiuti, ma questo aspetto rimane comunque centrale, e quindi è necessario attuare delle attività preventive come, ad esempio, non incentivare l’uso dei prodotti “usa e getta” ma puntare sulla produzione di prodotti più duraturi.
Per far questo è necessario passare attraverso il riutilizzo, in particolare dei rifiuti degli imballaggi, L’obiettivo è quello di portare la percentuale del riciclo dei rifiuti fino a un minimo del 65%, con la raccolta differenziata che deve salire al 70% del totale.
Per quanto riguarda il riciclo dei materiali di imballaggio si punta a raggiungere il 75% e ad aumentare in particolare nel settore della plastica, che è tra quelli che ancora non raggiungono la sufficienza.
Un altro settore che deve aumentare la sua percentuale è quello delle apparecchiature Raee, (elettriche ed elettroniche) che dal 34%, dato del 2014, deve arrivare al 65%. Per quanto riguarda i rifiuti organici devono essere destinati alla “chimica verde”, oltre che alla produzione del biometano.
Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della fiscalità; infatti, chi produce o chi vende prodotti che non possono essere riciclati oppure limitatamente riciclati, dovrà pagare maggiori oneri per lo smaltimento dei rifiuti che ne derivano.
Un principio che si chiama “responsabilità estesa del produttore” e che dovrà fare coppia con la destinazione degli incentivi ecologici alle aziende che dimostrano di adeguarsi completamente alla nuova direttiva.