Sono scesi in piazza a Roma gli agricoltori del riso italiano, per manifestare davanti al ministero delle Politiche agricole contro le speculazioni che mettono la rischio la produzione del nostro riso in Europa. La campagna, lanciata da Coldiretti con l’hashtag #SosRisoItaliano, tiene insieme più fronti di protesta: contro le importazioni incontrollate, la mancanza di trasparenza e l’inquinamento.
In particolare sono i prodotti importati dall’Oriente – dove i controlli sono minori e l’uso di pesticidi vietati in Europa è diffuso – a preoccupare maggiormente i produttori italiani. Gli agricoltori chiedono che ai prodotti importati vengano fatte rispettare le stesse regole di tracciabilità con un sistema trasparente di etichettatura di origine.
Dai dati Istat elaborati da Coldiretti nel dossier #SosRisoItaliano, è emerso che un pacco di riso su 4 venduto in Italia è di origine straniera, ma il consumatore non sempre se ne accorge perché non c’è l’obbligo di inserire la provenienza in etichetta. Quasi la metà delle importazioni di riso viene dall’Asia: nel 2016 quello dal Vietnam è aumentato del 346%, dalla Thailandia del 34%. Grandi quantità arrivano anche dall’India, dal Pakistan e dalla Cambogia, per un totale complessivo, e un record, di 244 milioni di chili.
L’accusa è verso l’Ue e l’introduzione di un sistema tariffario agevolato a dazio zero per i Paesi che operano in regime Eba (per i paesi in via di sviluppo), che ha prodotto un aumento delle importazioni di riso lavorato dal 33% negli ultimi 7 anni, a fronte di un crollo della produzione italiana. “Il riso made in Italy – commenta il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo – è da primato per qualità, tipicità e sostenibilità, che va difeso con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza, il blocco delle importazioni da Paesi che non rispettano le stesse normative vigenti in Italia in termini di caporalato e di impiego di prodotti chimici pericolosi per la salute”.
Tre kg di riso italiano per un caffè
L’altra accusa mossa da Coldiretti è verso la speculazione, che causa un aumento di 5 volte dei prezzi dalla risaia alla tavola. Secondo l’associazione di categoria gli agricoltori devono vendere 3 chili di riso grezzo, cosiddetto risone, per pagarsi un caffè. A fronte di un crollo del 33,4% del prezzo del risone italiano, da dicembre a oggi, i prodotti finali sugli scaffali dei supermercati non hanno subito variazioni, con un danno per i consumatori ed una perdita per i produttori stimata in 115 milioni di euro nell’ultimo anno. Il risone italiano, dice ancora Coldiretti, viene pagato tra i 32 ed i 36 centesimi al chilo per l’Arborio e dai 33 ai 38 centesimi al chilo per il Carnaroli. Le varietà che arrivano dall’Asia costano circa la metà di quanto costa produrle in Italia.
L’Italia è ancora il primo produttore europeo di riso con i suoi 1,58 miliardi di chili, ma la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro di oltre 10 mila famiglie tra dipendenti e imprenditori impegnati nell’intera filiera.