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Con Quota 100 divieto di cumulo di lavoro e pensione: tutti i motivi per cui è sbagliato vietarlo

Nessuna rimodulazione per Quota 100 tranne un disincentivo rafforzato, ovvero il divieto di cumulo tra pensione e lavoro fino a 5 anni. Dopo le ultime limature al testo di riforma delle pensioni, è emerso dall’incontro tra i tecnici del Governo Conte e l’Inps, la riconferma dei requisiti minimi di pensionamento a 62 anni e con 38 di contributi attraverso il sistema a finestre di uscita, e il divieto di cumulo che, da fisso, diventerà flessibile in rapporto al numero di anni di anticipo. Da quanto emerge da un articolo del Sole24Ore “i quotisti che si ritireranno a 62 anni nel 2019 dovranno aspettare 5 anni per poter sommare alla loro pensione nuove entrate legate ad attività professionali o di collaborazione saltuaria. Il divieto scenderà di anno in anno al salire dell’età fino ad azzerarsi in prossimità dei 67 anni, quando cioè scatta il requisito per la pensione di vecchiaia”.


Ormai è un dato di fatto che nei paesi industrializzati le aspettative di vita aumentano di anno in anno: se prendiamo in considerazione i dati del 2016, gli italiani con più di 65 anni erano il 22,3% della popolazione: 13,5 milioni; nel 2045 invece saranno il 33,5%, cioè circa 20 milioni. Inoltre sempre in guardando le statistiche di due anni fa, oggi gli uomini vivono in media fino a 81 anni circa mentre le donne arrivano ad 85 anni. Già da questi pochi dati, risulta evidente che insieme all’allungamento dell’aspettativa della vita, si debba necessariamente adeguare anche l’età di pensionamento, cosa che sta già accadendo in molti Paesi. Inoltre ormai capita sempre più frequentemente che, grazie alle tecniche curative alla avanguardia e ad un servizio sanitario sempre più accessibile a tutti ed innovativo, la forma fisica e lo stato di salute di questi anziani che accedono alla pensione è così buono al punto da far decidere loro di continuare a lavorare anche quando si è appunto già in pensione (invecchiamento attivo).

In Italia, su 16 milioni di pensionati oltre 1 milione lavorano e, con il cumulo dei redditi da pensione e lavoro, si pagano da loro stessi la loro pensione senza quasi gravare sulle finanze pubbliche. Dal recente articolo del Corriere della Sera, se queste persone arrivassero a 2 milioni il vantaggio per le casse pubbliche sarebbe notevole: “Il comune sentire crede alla narrazione che un lavoratore maturo ruba il posto a un giovane – afferma l’articolo sullo storico quotidiano italiano- e quindi deve essere espulso dal mercato del lavoro perché così ogni nuovo pensionato produrrà un posto per un giovane: mandiamo in pensione 400 mila vecchi e produrremo 400 mila posti per i giovani”. Secondo il Corriere della Sera, non esisterebbe nessuna statistica a conferma della suddetta teoria, ma esisterebbero invece una serie di dati Eurostat che ne comproverebbero il contrario: “Nei Paesi dove gli anziani lavorano di più anche il tasso di occupazione dei giovani è più elevato, viceversa dove gli ultra 55enni lavorano meno come in Italia, anche i giovani sono molto più disoccupati”.

L’articolo conclude con il riferimento ad un’annotazione sui tassi di occupazione in Italia, nella quale secondo la statistica lavorano regolarmente circa 23,3 milioni di persone per un tasso totale di occupazione pari a poco più del 58% dei soggetti in età da lavoro. Nella maggior parte delle classifiche sui tassi di occupazione totale, femminile e giovanile l’Italia arriva sempre regolarmente penultima, superiore nell’ordine dei peggiori solo alla Grecia.

 

 

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