Da oggi si apre il secondo tempo della crisi, quello che servirà a verificare la scommessa di Conte, ovvero la possibilità di ampliare davvero il perimetro della maggioranza a una “quarta gamba” centrista oltre a Pd, M5S e Leu. Una strada in salita. Davanti ai numeri sul filo, l’ipotesi di un Conte “bis bis” prediletta dal premier potrebbe perdere quota rispetto al Conte ter chiesto dai “responsabili” per palesarsi, che è anche l’opzione preferita dal Pd e da parte del M5S. Il premier dovrebbe salire al Colle già in queste ore per un colloquio informale con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È probabile che illustri al capo dello Stato la sua volontà di provare a rafforzare la maggioranza, chiedendo almeno una settimana di tempo.
Al termine del colloquio con Mattarella, Conte potrebbe decidere di rassegnare le dimissioni, tornando poi al Quirinale con un accordo già in tasca. Ieri è stata una giornata molto concitata al Senato. La caccia ai “volenterosi” è rimasta aperta fino all’ultimo minuto prima del voto. E la trattativa in extremis, bollata da Matteo Renzi come “un mercato indecoroso”, ha fruttato a Giuseppe Conte 156 sì contro 140 no, con tanto di bagarre finale e riammissione al voto di Lello Ciampolillo (ex M5S) e del socialista Riccardo Nencini, gli ultimi due sofferti via libera.
Cinque voti in meno dei 161 necessari per la maggioranza assoluta. Sono risultati decisivi l’astensione di 16 eletti Italia Viva e i sì di tre senatori a vita: Mario Monti, Elena Cattaneo e Liliana Segre. Da Forza Italia poi è arrivato il soccorso di Maria Rosaria Rossi, ex fedelissima di Silvio Berlusconi (che Travaglio definì “la badante di Silvio”), e di Andrea Causin, che ora sono “fuori dal partito” come ha sottolineato Antonio Tajani. Ma i tre senatori Udc sono rimasti sul no, insieme ad altri ex M5S che pure erano stati “corteggiati”. Al Senato Conte ha affrontato la curva più critica, a partire dal duello con Renzi.
È nella replica, dopo l’intervento durissimo del leader di Iv, che Conte ha contrattaccato, con la voce rotta, insistendo sulla linea di non nominare mai l’avversario. A Italia Viva ha addebitato i ritardi del Recovery Plan e l’aver scelto la strada “dell’aggressione” e degli attacchi mediatici. Se Renzi aveva ricordato di essersi detto non interessato all’offerta di “incarichi internazionali” arrivata dal premier, Conte ha ribattuto: “Non è importante dire ‘non sono interessato alla poltrona’, ma essere interessati a star seduti con disciplina e onore”.
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