E fu così che alla fine il “prestanome Conte” si sganciò definitivamente dai suoi sequestratori Di Maio e Salvini. I primi mesi hanno visto l’agenda governativa dominata dai due vicepremier. Ma mano a mano che le dinamiche del governo Conte prendevano forma, anche il premier ha conquistato un suo spazio di manovra. Anche grazie a una maggiore conoscenza del ruolo e a una più spiccata affinità venutasi a creare tra il discreto e felpato “avvocato del popolo” pugliese e l’establishment italiano e internazionale.
E così, Conte ha stretto un saldo rapporto con Donald Trump (la qual cosa non è detto che sia positiva, ma è certamente funzionale); ha presieduto la conferenza di Palermo sulla Libia ed espresso gli obiettivi del Paese nel “Mediterraneo allargato“; è stato ricevuto da Putin auspicando una nuova fase di cooperazione tra Italia e Russia; ha, soprattutto, rappresentato il volto del dialogo tra l’Italia e la Commissione europea nel momento in cui l’escalation retorica sulla manovra finanziaria raggiungeva l’acme.
La svolta nel ruolo di Conte è arrivata proprio nella drammatica trattativa con la Commissione europea sul Def che ha condotto in prima persona e che al tempo stesso gli ha permesso di conseguire, sotto il profilo personale, un successo, rovesciando una narrazione che lo vedeva completamente oggetto degli eventi, e di accreditarsi – presso la nomenklatura della Ue– come l’unico vero interlocutore del governo italiano. Vista la sola capacità di starnazzare di Salvini e Di Maio.
Rodatosi nella presenza ai vertici istituzionali (G7, G20, assemblea Onu, conferenza di Palermo) e nella trattativa con Bruxelles, riconosciuto da diversi centri di potere (Quirinale, Vaticano, ma anche grande industria partecipata pubblica, come testimoniato dalla “cabina di regia” convocata da Conte e Paolo Savona ad ottobre) come attore più credibile dell’esecutivo e incalzato dal suo stesso ruolo a acquisire una forma politica propria, Conte pare molto diverso dal premier designato entrato in punta di piedi a Palazzo Chigi l’1 giugno scorso.
E questa diversità la testimonia nella maggiore capacità di un’iniziativa autonoma, in diversi casi diretta in maniera opposta, o non completamente convergente, alle aspettative dei suoi vicepremier. In questo contesto, Conte cerca spazi per legittimare ulteriormente il suo ruolo e i suoi rapporto personali per beneficiarne in futuro. Forse con la carriera politica ci ha preso gusto… Le prossime settimane testeranno ulteriormente quanto Conte sia in grado di rafforzare e interpretare il suo ruolo.
Dopo la visita in Africa, Conte è atteso dal viaggio al forum di Davos che lo vedrà accolto come membro componente dall’élite internazionale; infine, vero banco di prova, a febbraio è in programma una tappa a Strasburgo dove Conte terrà un discorso sull’Unione all’Europarlamento. Il “vicepremier dei vicepremier” si fa sempre più presidente del Consiglio. E non è detto che questo possa far piacere fino in fondo a chi, nel governo, punta a guidare dalle retrovie, mettendo l’agenda mediatica davanti al ruolo istituzionale e alla realtà…
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