“Per favore, mi passi il sale?”. E’ bastata un’azione così semplice a far innescare la catena di contagi nella Webasto di Stockford, in Baviera, il primo focolaio europeo dell’epidemia di coronavirus. Per cercare di capire come un virus così potente possa attecchire di persona in persona così velocemente, gli epidemiologi tedeschi hanno prestato un’attenzione ossessiva proprio a quel focolaio di fine gennaio. Non solo tramite i questionari standard predisposti dall’Oms, in cui ai casi positivi viene chiesto dove sono stati e chi hanno incontrato. Ma una vera e propria indagine poliziesca, che ha permesso di stabilire chi ha contagiato chi, fra le prime persone infettate con il coronavirus, e di collegare quello che sembrava un anello mancante della concatenazione. Come è avvenuto il contagio fra il paziente 4 e il paziente 5, due persone che all’apparenza non si erano mai incontrate?
Siamo a Stockdorf, la cittadina vicino Monaco che ospita il Webasto Group, un’azienda di parti di ricambio per automobili. Qui è avvenuta la famigerata riunione di lavoro in cui una donna positiva proveniente dalla Cina e al momento senza sintomi (la febbre le salirà sul viaggio di ritorno) contagia il primo dipendente, un giovane uomo che le era seduto accanto durante una riunione in una stanza ristretta. Era il 20 gennaio e la donna (la paziente zero in Europa) aveva incontrato da poco per le feste del nuovo anno i genitori di Wuhan. Ci vorrà una settimana prima che il suo collega tedesco, il paziente uno, riceva il responso del tampone: positivo. Nel frattempo il virus circola nell’azienda Webasto, con 16 contagiati (tutti guariti). Da lì l’infezione si diffonde in Baviera, poi in Italia e nel resto d’Europa. Rintracciando in modo maniacale la catena dei contagi e testando tutti i casi sospetti, il focolaio bavarese viene almeno in parte circoscritto. Non così nel nostro paese, dove al momento della scoperta dell’epidemia il virus era in circolazione già da un mese e il suo percorso fra la popolazione era diventato un gomitolo ormai impossibile da dipanare.Quel lavoro di investigazione per ricostruire il viaggio del coronavirus a Stockford viene raccontato in un articolo sottoposto (ma non ancora pubblicato) alla rivista The Lancet, diffuso dall’emittente tedesca. Le agende elettroniche che memorizzano gli appuntamenti dei dipendenti della Webasto aiutano nel lavoro. Laddove mancano le informazioni, si ricorre al sequenziamento dei genomi dei virus dei vari malati. Le mutazioni che si accumulano da un contagio all’altro aiutano a capire chi è stato infettato prima e chi dopo. Ma il sentiero si interrompe improvvisamente dopo il paziente 4. Che contatto ha avuto con il contagiato successivo, il paziente 5?A furia di interrogatori, gli epidemiologi tedeschi scoprono che i contagi tra i pazienti 4 e 5 hanno entrambi pranzato alla mensa aziendale il 22 gennaio. Il primo non aveva sintomi. I due non erano insieme. Mangiavano a due tavoli adiacenti e si davano le spalle. Il contagio è improbabile, in queste condizioni. Ma a un certo punto, incalzato dalle domande, uno dei due ricorda di essersi voltato per chiedere al collega la cortesia di passargli il sale. Con le sue mani contaminate, però, il paziente 4 non trasmette solo il sale al paziente 5. Su quella saliera c’era anche la malattia. Le vie del coronavirus sono subdole e imprevedibili, ma in questo caso i medici tedeschi sono stati furbi quanto lui.
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