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Coronavirus, l’esperto: “Così l’Italia ha dato a altri Stati le armi per metterci in ginocchio”

Marco Lombardi è docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano dove tiene anche il corso, il primo ad essere avviato in Italia nel 2000, di Gestione del rischio e crisis management, materie che studia dalla metà degli anni Ottanta. È stato intervistato da Famiglia Cristiana in merito al modo in cui è stata gestita – su tutti i piani – l’emergenza Coronavirus. Il parere di Lombardi è molto interessante perché svela i tanti, forse troppi, errori che hanno portato l’Italia ad avere un problema molto più grande a livello economico che non sanitario. “La sindrome da ‘primo della classe’ ha colpito tutti: istituzioni, tecnici e media. Se l’unico modo per contenere il focolaio era quello di chiudere tutto e bloccare le persone, ora i francesi o i tedeschi e gli altri Paesi possono bloccare gli italiani che vanno da loro o dire, come sta accadendo, ai loro cittadini di non venire più in Italia per turismo o lavoro”.

L’intervista, a cura di Antonio Sanfrancesco, è stata pubblicata online il 3 marzo. Lombardi si dice “sconfortato” per come è stata gestita l’emergenza da parte dell’Italia: “La gestione della comunicazione durante un’emergenza può essere di pancia, conseguenza del fatto che ci sentiamo emotivamente tutti coinvolti e quindi si usa la pancia, non il cervello, per rispondere. È quello che ha fatto, ad esempio, il presidente della Regione Marche che ha chiuso tutte le scuole perché ha visto i suoi cittadini allarmati dal Coronavirus. Oppure, siccome la crisi è un evento notiziabile, si salta sul palcoscenico per far vedere quanto si è bravi. La comunicazione è sempre rappresentazione, i media rappresentano sempre la realtà, non sono la realtà”.

E che rappresentazione è venuta fuori in questi giorni? “Di un Paese che anziché diminuire ha incrementato il senso d’incertezza dei cittadini, esattamente quello che non si deve mai fare in una crisi che è il luogo dell’incertezza per antonomasia. Si è trattato di un cortocircuito. Da una parte, alcuni media che da un giorno all’altro sono passati con disinvoltura da una posizione all’altra con titoli pazzeschi. Dall’altra, gli stessi scienziati, medici, virologi e tecnici i quali, anziché orientare i cittadini, si sono messi a discutere, anche via social, tra di loro dicendo tutto e il contrario di tutto e portando in piazza le loro diatribe. Una situazione assurda”.

Tutti hanno giocato a fare i primi della classe. I governatori che per primi hanno emanato ordinanze cercando di dire che erano bravissimi e rapidi a contenere il focolaio. Il governo che è entrato in ritardo su quest’operazione cercando, senza riuscirvi, a prendere il controllo della situazione per gestirla da un’unica cabina di regia. Il coordinamento deve essere uno solo, non devono esserci più voci”. Conseguenze da questo atteggiamento da ‘primi della classe’? “Devastanti. Abbiamo, di fatto, fornito ai nostri competitori le armi per farci fuori”.

“Della serie: ‘L’avete fatto voi a casa vostra, blindando tutto e tutti, lo facciamo anche noi prendendo esempio da voi che siete stati bravissimi’. In realtà, gli abbiamo dato noi la possibilità di fare quello che stanno facendo con il risultato che il 40% del Pil nazionale di fatto rischia di andare in fumo perché è questo che accade quando si fermano quattro regioni come Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna”.

Come si doveva affrontare l’ emergenza? “Con più calma. Il Coronavirus non è mortale come altri virus ma la sua peculiarità è che si propaga molto velocemente e facilmente. Quindi, la questione è organizzativo-logistica prima che sanitaria. Se abbiamo il 10% di persone che finiscono in terapia intensiva in cinque mesi come accade per l’influenza abbiamo posti a sufficienza. Se abbiamo il 10% di persone che vanno in terapia intensiva nel giro di 30 o 60 giorni a causa del Coronavirus i posti ci mancano. Da qui, l’ unica necessità è limitare i contagi, con l’obiettivo, se non di ridurli, almeno di ‘spalmarli’ su periodi più lunghi e far sì che il nostro sistema sanitario riesca a gestirli senza andare in affanno”.

 

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