Un medico tirocinante di 26 anni ha attraversato un’esperienza purtroppo comune a tante persone negli ultimi tre mesi: dopo aver contratto il Covid-19 è stato ricoverato e intubato in terapia intensiva lottando tra la vita e la morte. L’uomo in questione è il dottor Shanath Ramachandran e lavora al Leighton Hospital di Crewe (città inglese a sud di Manchester). Ciò che rende interessante la sua testimonianza è l’aver vissuto quei momenti difficili essendo al tempo stesso paziente e medico, così da poter raccontare ciò che ha sofferto, e al tempo stesso riflettere sulla sua professione e sulle cose che si possono migliorare nel rapporto medico-paziente. “Uscito dall’inferno del Covid, adesso sono un altro medico”, ha affermato Ramachandran, in un report pubblicato su Anesthesia Reports -. Pensavo che se anche fossi stato contagiato, non avrei subito danni particolari, ma mi sbagliavo”.
“Nella prima settimana di aprile ho fatto una serie di turni di notte nel mio ospedale. Ho terminato il venerdì. E due giorni dopo ho notato che la mia temperatura era salita. Non solo: sudavo e avevo dei tremori. Ma a parte questo stavo bene – ha spiegato Ramachandran -. La prassi dell’ospedale prevedeva, in questo caso, di isolarsi per una settimana e poi, se i sintomi fossero scomparsi, rientrare a lavoro. Quindi per i quattro giorni successivi sono rimasto in isolamento nel mio appartamento a Manchester. E in questi giorni ho iniziato a sentire dolori ai muscoli, mal di stomaco e la tosse”. Pochi giorni dopo però la salute del medico ha iniziato a peggiorare: “Sono arrivato ad avere difficoltà di respirazione intorno a giovedì-venerdì, quindi una settimana dopo i miei turni di notte. Respiravo male, soprattutto di notte. Ero costretto a dormire su cinque o sei cuscini, quando di solito ne uso solo un paio. La respirazione peggiorava sempre di più e domenica mattina ho toccato il fondo: non riuscivo nemmeno a pronunciare una parola senza che mi mancasse il fiato. Allora ho chiamato l’ambulanza. In ospedale il tampone ha confermato la mia positività al Covid”.
Da quel momento in poi per il giovane dottore è iniziato il calvario del quale fino a qualche tempo prima era stato solo spettatore: “Sono rimasto intubato per cinque giorni, e i miei ricordi di quel periodo sono molto confusi, perché ero sotto sedazione. Ricordo una maschera calda che mi viene messa sul viso, ricordo una sensazione calda al braccio. E poi ho dei ricordi più strani, ma su cose che non sono accadute davvero ma devo essermi sognato durante la sedazione. Dopo il quinto giorno mi hanno tolto il tubo dalla trachea e mi hanno tenuto altri due giorni in terapia intensiva, prima di dimettermi”.
Il momento peggiore del suo ricovero che resterà indelebile nella mente di Ramachandran è quello dell’intubazione: “Il lunedì mattina l’anestesista mi ha detto che mi avrebbero intubato. E’ stato un brutto momento, ma non il peggiore. Il peggiore è venuto subito dopo: quando ho dovuto dire ai miei genitori che mi avrebbero intubato. Mio padre è docente di medicina, quindi capiva bene tutto quello che stava succedendo. Dare ai miei genitori questa notizia è stato davvero orrendo, e tutto il resto impallidisce al confronto”.Adesso che è guarito Ramachandran è pronto a lasciarsi il dramma alle spalle, facendo però tesoro di questa esperienza per aiutare al meglio i suoi prossimi pazienti: “Adesso provo molta più empatia verso i pazienti. E ho capito bene, sulla mia pelle, l’importanza della comunicazione tra medico e paziente. Uno degli aspetti peggiori del Covid è che le famiglie non possono visitare i pazienti. Mio padre chiamava i medici 3-4 volte al giorno in ospedale, e loro non si sono mai mostrati infastiditi: gli spiegavano tutto nei dettagli e lo rassicuravano. Ho imparato quanto è importante tutto questo. Un’altra lezione di cui farò tesoro è quanto è determinante, come nel mio caso, essere intubati presto: è anche grazie a questa tempestività che tutto alla fine è andato bene”.
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