Roya Heshmati è stata condannata in Iran per non aver indossato il velo. La sua testimonianza è un forte messaggio per tutte quelle pseudo-femministe italiane che confondono una grave imposizione con una scelta. “Questa mattina ho ricevuto la convocazione per le 74 frustate. Ho contattato subito il mio avvocato e siamo andati al tribunale del 7° distretto di Teheran. Entrando, mi sono tolta l’hijab. Nella sala, si sentivano i lamenti di un’altra donna che aspettava la sua esecuzione.”
Roya, curda, 33 anni, è una attivista contro l’obbligo dell’hijab. “Due donne in chador mi hanno messo una sciarpa sulla testa. Ho resistito, ma loro insistevano. Mi hanno ammanettata e continuavano a coprirmi la testa.” La porta di ferro si aprì cigolando, rivelando una stanza con pareti di cemento. “In fondo c’era un letto con manette e fasce di ferro.”
La descrizione di Roya continua: “Al centro della stanza c’era un dispositivo di ferro simile a un grande cavalletto, con alloggiamenti per le manette e legature di ferro arrugginito. Su una sedia e un tavolino c’erano una serie di fruste. Sembrava una camera di tortura medievale.” Il giudice chiedeva: “Stai bene? Non hai problemi?”. Poi, il boia mi ordinò di togliermi il cappotto e di sdraiarmi sul letto. Ho appeso il cappotto e il velo alla base del letto di tortura. Il boia prese una cintura di cuoio nero e si avvicinò al letto.”
Iniziarono le frustate: sulle spalle, sulla schiena, sui fianchi, sulle gambe. “Cantavo in silenzio: ‘In nome della donna, in nome della vita, gli abiti della schiavitù saranno stracciati, la nostra notte nera spunterà e tutte le fruste saranno tagliate…’”. Poi, Roya uscì senza mai rimettere il velo.