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Aumento Iva, cosa sono le clausole di salvaguardia e perché costeranno 500 euro a famiglia

Parte delle spese in manovra hanno coperture incerte, che rendono necessaria la previsione alternativa di un aumento delle imposte indirette, cioè l’Iva e le accise sui carburanti. Attualmente superano i 23 miliardi. E con questa crisi di governo gli italiani sono assai preoccupati perché c’è il serio rischio che l’Iva arrivi al 25%. Che vorrebbe dire quasi 600 euro annui a famiglia. Ma cosa sono queste clausole di salvaguardia? Una minaccia che incombe sui conti degli italiani da sette anni.

È con la manovra 2011 infatti che per la prima volta sono state introdotte queste clausole, che prevedono aumenti automatici di aliquote Iva e delle accise nel caso in cui non si raggiungano una serie di obiettivi del bilancio dello Stato.

L’attuale legge di Bilancio ha però la colpa spaventosa di aver spinto la posta decisamente verso l’alto (siamo arrivati a 23,1 miliardi di aumenti Iva) e di averla proiettata fino al 2020, perché spostarla al 2019 non sarebbe stato sufficiente a convincere la Ue a lasciar perdere la procedura d’infrazione a carico dell’Italia. Il tutto per una manovra da folli, in deficit totale, che poi non ha portato a nulla. Il Paese, infatti, è a crescita 0, come certificato dall’Istat.

Le clausole di salvaguardia prevedono l’aumento dell’Iva (l’imposta sul valore aggiunto, incorporata nel prezzo di vendita di beni e servizi, che va dal 10% per la tariffa ridotta al 22% per l’aliquota ordinaria) e delle accise (anche in questo caso si tratta di imposte indirette, che cioè si pagano al momento dell’acquisto di un bene, e fanno pertanto parte del prezzo di vendita, e riguardano i carburanti e l’energia) nel caso in cui non si raggiungano determinati obiettivi di bilancio.

Per evitare che quindi manchino le coperture a una serie di spese già effettuate o comunque previste, si stabilisce che “scattino” in automatico gli aumenti. Il debutto delle clausole di salvaguardia è avvenuto con il governo Berlusconi, nel 2011. Il governo di allora si impegnò, con la legge Finanziaria, a coprire 20 miliardi di spese già in bilancio entro il 30 settembre 2012 con un taglio lineare a tutte le agevolazioni fiscali, o in alternativa con un aumento delle aliquote indirette (in primo luogo l’Iva sui beni e servizi, ma anche le accise sui carburanti).

Il governo Monti, subentrato a metà novembre 2011, riesce a disinnescare buona parte di queste clausole, fino a 13,4 miliardi. Rimane però la previsione di un aumento dell’Iva a partire dal primo luglio 2013, come salvaguardia nel caso in cui non si fosse proceduto a tagli delle agevolazioni fiscali o di prestazioni assistenziali per 6,6 miliardi di euro annui. Con il governo Letta scatta una delle clausole di salvaguardia: nell’ottobre del 2013 arriva l’aumento dell’Iva ordinaria, che passa dal 21 al 22%.

Con la legge di Bilancio 2019 le clausole di salvaguardia tornano in campo con un consistente rilancio. Nonostante nella nota di aggiornamento al Def si fosse assicurato che il governo Conte riteneva “opportuno intervenire sulle clausole di salvaguardia contenute nella legge di Bilancio 2018, neutralizzando completamente quelle relative al 2019 e parzialmente quelle riguardanti il 2020 e 2021”, si prevedono al contrario 9,4 miliardi di salvaguardie sull’Iva per il prossimo anno, cui si aggiungono 13,1 miliardi per la prossima legge di Bilancio (e che quindi scatteranno eventualmente nel 2021).

Il governo ha assicurato che si tratta di un “escamotage contabile”. Ma in mancanza di coperture alternative, le clausole scatteranno, e si tradurranno in un aumento generalizzato dei prezzi visto che l’Iva si paga su tutti i beni e servizi acquistati, ed è improbabili che le aziende si sobbarchino i costi: verranno invece scaricati sui prezzi di vendita.

 

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