Sul taglio dei parlamentari la Lega ha mostrato a più riprese di non avere le idee troppo chiare. Quando era ancora al governo in compagnia dei Cinque Stelle, prima dei mojito del Papeete, Matteo Salvini si era espresso per ben tre volte a favore della riforma che avrebbe dovuto ridurre il numero di onorevoli che gravano sulle casse del nostro Paese. Proponendo poi, dopo lo strappo con il Movimento, di votare insieme un’ultima volta per poi andare alle elezioni.
Una volta all’opposizione, invece, la Lega aveva deciso di aderire alla raccolta firme per chiedere di indire un referendum confermativo (quindi senza quorum) sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei deputati da da 630 a 400 e quello dei i senatori da 315 a 200. I voti leghisti non sono stati decisivi per raggiungere il numero di adesioni necessario, ma è comunque emblematico di un netto cambiamento di rotta sul tema.
Difficile immaginare che un eventuale referendum possa stoppare una riforma che una grandissima parte di cittadini percepisce come più che necessaria. E però allo stesso tempo la consultazione farà spendere soldi che potrebbero essere destinati a ben altro uso, nell’ennesimo tentativo salviniano di spaccare il governo e riuscire nella tanto desiderata spallata finale al Conte bis. La strategia era legata all’esito delle elezioni in Emilia Romagna: in caso di vittoria della Borgonzoni e di crisi nella maggioranza, i parlamentari avrebbero infatti avuto un motivo in più per tornare subito al voto, bloccando il referendum e andando alle urne senza tagli. Un piano sfumato, però, con Salvini che a questo punto in caso di referendum potrebbe addirittura dichiararsi favorevole al taglio e fare campagna elettorale in favore del “sì”. Una consultazione al dunque inutile, quindi, che però secondo l’ex ministro Cinque Stelle Toninelli costerà “300 milioni di euro. Un referendum tanto inutile quanto dispendioso”.
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