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Creare una start up digitale in Italia: 5 motivi per cui è diventato più difficile

Premettiamo che abbiamo detto “difficile” e non impossibile, ma sicuramente, rispetto a qualche anno fa, lanciarsi in un’attività imprenditoriale totalmente basata su un modello di business online è diventato un compito decisamente più arduo.

Con questo articolo non vogliamo certo scoraggiare nessuno, tutt’altro! Il grado di difficoltà può essere visto come una sfida e come un avvertimento riguardante la meticolosità con cui è necessario valutare attentamente le opportunità, le minacce e l’incombenza di eventuali scenari negativi.

1. Intelligenza Artificiale e Machine Learning non sono per tutti

 

L’AI e la capacità di sviluppare algoritmi di “deep learning” è al momento una sorta di corsa all’oro. Ci sono ampi margini per creare prodotti in grado di sfruttare al meglio l’intelligenza artificiale, le start-up digitali che si stanno buttando in questo campo sono tantissime, e molte hanno una missione chiara.

Tuttavia, l’intelligenza artificiale richiede investimenti significativi e professionalità di non semplice reperimento. Oggi le imprese digitali di successo puntano alla creazione di complesse e costose piattaforme tecnologiche e, in questo senso, il limitato accesso al credito ed ai finanziamenti degli startupper italiani è un limite invalicabile.

Inoltre, l’AI richiede i “big data” e questo non è un dettaglio. Reperire e gestire correttamente i dati è indubbiamente difficile tanto quanto elaborarli ed arricchirli, e lo sarà sempre di più.

Un’attività imprenditoriale non deve per forza adottare tecnologie AI ma certamente questo è l’ambito in cui ci sono le migliori opportunità.

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2. Il valore del contenuto è in calo

C’era una volta l’editoria accessibile a tutti…

Purtroppo il valore del contenuto è in netto calo perché è diventato difficile valorizzarlo e renderlo reperibile.

La SEO come la conoscevamo alcuni anni fa è definitivamente defunta. Oggi un prodotto editoriale deve produrre articoli realmente unici (come questo) e soprattutto utili e in grado di generare “engagement” (speriamo di riuscirci!). La popolarità di un sito può essere acquisita con fatica e sudore in modo del tutto spontaneo ed è finito il tempo in cui attrarre traffico dai motori di ricerca dipendeva soprattutto dalla qualità della scrittura SEO.

Un discorso analogo riguarda la possibilità di attrarre traffico organico dai social network. Com’è noto Facebook ha ridotto la portata delle pagine ed ha fatto capire a tutti che i link all’esterno non sono apprezzati.

Va un po’ meglio con coloro che si occupano di produrre notizie locali e rilevanti ma quello che è certo è che il traffico gratuito è diventata una chimera.

Soprattutto, il “programmatic advertising” è un’opportunità ma al contempo ha abbassato il valore della resa pubblicitaria ed ha allontanato l’editore dall’inserzionista.

Produrre contenuto multimediale di valore è diventato dispendioso. Il contenuto video può effettivamente procurare dei buoni ritorni di investimento, ma solo se è originale e realmente apprezzato dagli utenti.

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3. Fare pubblicità non è sempre “cost effective”

Oggi l’RMP (revenue per mile) di una pagina web non è sufficiente a giustificare investimenti nell’acquisizione di traffico. Acquisire un lettore è spesso oneroso e fidelizzarlo non è banale.

Questo vale anche per l’ecommerce. Nonostante in questo caso social network come Pinterest, Instagram, Facebook e molti altri abbiano ideato risorse per favorire gli shop online, il costo del traffico è spesso proibitivo ed è necessario ideare promozioni aggressive per riuscire a invogliare gli utenti.

La  persuasione passa attraverso il re-targeting ma è un processo lungo e anch’esso dispendioso che necessita di investimenti significativi.

Piattaforme come Amazon o Ebay sono estremamente “price sensitive” e la concorrenza è agguerrita.

Questo non significa ovviamente che non sia possibile ottenere un ROI accettabile ma sicuramente, per un nuovo brand o un nuovo shop, la strada per costruire un marketing mix efficace è irta di ostacoli.

Se da una parte strumenti come i “chat bot” ed i sistemi di marketing automation possono aiutare a creare un customer journey di successo, dall’altra l’email marketing e l’affiliation marketing sono entrambi canali di acquisizione del traffico che stanno vedendo calare le proprie performance.

amazon-lending-fintech4. Siamo nelle mani di Google e Facebook

Anni fa esisteva una pluralità di fonti di traffico e regole più elastiche per catturare l’interesse di un utente per generare una lead, una action o una vendita.

Oggi il web è decisamente meno democratico ed esiste una struttura oligopolistica che è in gran parte dipendente da Google e da Facebook. La gran parte del traffico e del tempo medio speso sul web, sia desktop che mobile, avviene su queste piattaforme le cui politiche e sono decisamente mutevoli.

La quarta rivoluzione industriale è ancora in atto e la “disruption” che ne consegue è in gran parte dovuta a delle scosse di assestamento che possono generare opportunità ma anche radere al suolo migliaia di imprese.

Di recente, dopo il caso Cambridge Analytica (di cui abbiamo parlato qui), Facebook ha deciso di limitare l’accesso ai dati delle app. Il risultato sarà che molte imprese che facevano affidamento su questo meccanismo saranno fuori dai giochi.

Google negli anni ha invaso il campo che apparteneva ad attori che, comunque, acquisivano il proprio traffico dai motori di ricerca. Si pensi per esempio ai comparatori di prezzo che ad un certo momento hanno dovuto fare i conti con Google Shopping.

Oppure le minacce che Google Jobs, peraltro potenziato da un evoluto sistema di intelligenza artificiale, può rappresentare per siti di annunci di lavoro come Monster.com o Infojobs.

Un altro esempio che ha messo in crisi i ricavi delle società di telecomunicazioni è WhatsApp o Telegram, che oggi propongono anche soluzioni per le aziende molto efficaci.

La necessità di monetizzare porterà colossi come Google e Facebook, Snapchat, Twitter, Linkedin e tutti gli altri, a limitare il loro sfruttamento gratuito ed a lanciare nuovi servizi a pagamento che andranno inevitabilmente a danneggiare il business di altri player.

Prima di lanciare una start-up che si appoggia ai servizi di Google o di Facebook è fondamentale chiedersi se prima o poi il suo business corra il rischio di essere fagocitato da questi oligarchi.

Google-25. Generare un brand riconoscibile è diventato un “must”

Prima era possibile far soldi con Internet anche senza disporre di un marchio riconoscibile.

Oggi invece la “brand awareness” è tornata ad essere decisiva.

La fidelizzazione si può conquistare affermando un marchio con il giusto posizionamento e anche questo richiede investimenti non indifferenti e tanta pazienza.

La riconoscibilità di un marchio passa attraverso la capacità di creare engagement ed instaurare un dialogo con il potenziale cliente, attraverso l’influencer marketing, i cui parametri di valutazione sono tutt’ora incerti, e l’offerta di una customer experience di primo piano che posso rappresentare un elemento di differenziazione.

In conclusione, lo start-upper digitale ha davanti a se l’arduo compito di valutare bene la potenzialità e la sostenibilità del business in uno scenario in cui gli investimenti richiesti possono essere ingenti e il tempo necessario a ottenere la profittabilità più lungo del previsto.

La vera sfida è capire come sfruttare le opportunità che saranno generate dalla disruption che segue inesorabilmente la quarta rivoluzione industriale, e non restare intrappolato dall’inevitabile cambio nelle dinamiche che regolano il comportamento di Google, Facebook, Amazon, Apple e tutti gli altri colossi.

Leggi anche: Facebook accesso dati: l’eco di Cambridge Analytica, forti limiti alle App e il caso Tinder

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